Dicono che il primo confronto serio sulla riforma delle Popolari – dopo il blitz del governo e l’endorsement della Banca d’Italia – sia in programma questa settimana. A rappresentare – riservatamente – il premier è atteso il vicesegretario-portavoce del Pd, Lorenzo Guerini: uno dei plenipotenziari di Matteo Renzi. Non è affatto banale che il tentativo di dipanare la matassa ingarbugliata della “Popolari Spa” sia un ex sindaco (democristiano) di Lodi. Guerini, anzi, era appena stato eletto primo cittadino di Lodi quando la città e la sua Popolare divennero l’epicentro dell’ultima grande battaglia bancaria combattuta in Italia.
Nella primavera del 2005, il neo-sindaco di Lodi – che ovviamente conosceva bene la Popolare e il suo vulcanico amministratore delegato Gianpiero Fiorani – inizialmente guardò con favore al tentativo della Bpi di acquisire AntonVeneta affrontando in campo aperto Abn Amro, la City di Londra, l’Antitrust Ue. Quando la magistratura fermò infine Fiorani (e il suo grande supporter Antonio Fazio, governatore della Banca d’Italia), Guerini parlò di “pugno nello stomaco”. Nei mesi successivi il sindaco fu ovviamente fra i più attivi nel lavorare a una messa in sicurezza del gruppo. E fu grazie anche al suo intervento che la Popolare lodigiana fu aggregata al polo leader del grande credito cooperativo: la Verona-Novara che, dopo aver integrato la Lodi, si chiamò “Banco Popolare”.
La Banca d’Italia di Mario Draghi autorizzò quel nuovo brand – in teoria assegnabile a un gruppo unificato – con un evidente spirito di “suasion” e auspicio: che la categoria proseguisse nel proprio riassetto per linee interne, Non è stato così e nove anni dopo le Popolari sono in trincea contro la cancellazione forzata della loro ultra-tradizionale governance cooperativa. E – nonostante la dura promessa lobbistica di “far decadere il decreto”, sono già alla ricerca di un compromesso attraverso un mediatore adeguato: tanto che – prevedibilmente – la bozza di autoriforma affidata a tre saggi (Quadrio Curzio, Marchetti e Tantazzi) sarà pubblicata solo dopo che il primo contatto con il “cerchio di Renzi” avrà delineato un percorso possibile.
I temi di confronto sono già correnti nel gossip finanziario: un allungamento dei tempi di trasformazione (da 18 mesi previsti dal decreto fino a un massimo di 36) e altre misure utili a definire una “fase transitoria”, nella quale le Popolari non siano scalabili e possano scegliere dei nuovi investitori istituzionali. Soprattutto una fase in cui le Popolari possano aprire trattative per nuove fusioni (non necessariamente fra loro) che rispondano strategicamente alla sfida – certamente rude e spregiudicata – lanciata loro dal governo.
In fondo, partendo da Lodi (e da una “Popolare Italiana”), Fiorani aveva lanciato lui una sfida: anche alle altre Popolari, non solo ai poteri costituiti della finanza italiana e internazionale. E la sua fu una sconfitta dopo una battaglia impari, non un fallimento annunciato di un’idea (essa pure spregiudicata). La raccolta delle macerie e la nascita del “Banco Popolare” furono a loro volta una premessa: non sviluppata (ma non certo per responsabilità del gruppo veronese). Ora governo e Popolari si ritrovano al crocevia di Lodi. Wait and see.