C’è chi sostiene – con più di una ragione – che la Seconda Repubblica non sia nata con l’inizio di Mani Pulite nel febbraio 1992 e neppure con il referendum Segni del giugno 1991, ma con la legge Mammì dell’estate 1990 e la contemporanea ”guerra di Segrate” fra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della Mondadori, conclusasi all’inizio del 1991 con “l’armistizio Ciarrapico”. Sono il consolidamento del duopolio televisivo Rai-Mediaset e l’emergere di un sostanziale tri-polio nell’editoria cartacea (Rcs, Espresso-Repubblica e Mondadori-Il Giornale) a disegnare i fondali – ma spesso anche il palcoscenico e i canovacci – per le principali partite politico-finanziarie di una lunga stagione della storia italiana (a cominciare dall’avvento del bipolarismo maggioritario e dalla discesa in campo della magistratura militante come “opposizione giudiziaria” a Berlusconi).

Se il Cavaliere diventa quasi subito protagonista a tutto campo, attorno al Corriere della Sera – resuscitato da P2 e crac Ambrosiano – orbita e poi declina la “galassia del Nord” sull’asse Fiat-Mediobanca-grandi banche, con le sue ripetute proiezioni tecnocratiche (Ciampi, Draghi, Monti). De Benedetti è d’altronde il patron del giornale-partito identificato con la Ditta: con quel Pds-Ds che vive un suo apice con D’Alema premier e l’Opa Telecom (lanciata dall’Olivetti, storica ditta dell’Ingegnere).

Non appare un caso che la transizione ormai accelerata verso la Terza Repubblica stia affrontando un passaggio probabilmente decisivo rimettendo in discussione quegli equilibri: tutti assieme e ancora quelli, che ritroviamo quasi immutati e quindi inevitabilmente obsoleti sia per la politica che per il mercato. Il premier Renzi vuole rottamare la legge Gasparri (ultima versione del duopolio “Raiset” voluto da Bettino Craxi e Giulio Andreotti), riformare il servizio pubblico tv e ristrutturare l’azienda-Rai. Di più: vuole rimarginare il “digital divide” infrastrutturale scaricato sull’Azienda-Paese dai ripetuti fallimenti gestionali di Telecom lasciata ai privati. Il Cavaliere – rivestiti i panni dell’imprenditore – reagisce sul mercato per rilanciare Mediaset: e prende subito di mira il tallone Rai Way, quotato da Viale Mazzini per tamponare le ennesime perdite del 2014.

Non solo: Fininvest tende una mano (non disinteressata) anche a Rcs, offrendosi di rilevare la divisione Libri e di accorparla con Mondadori. E questo quando il Corriere stesso è a una svolta: il ricambio della direzione – programmato per aprile – non è che il termine fissato dagli azionisti in conflitto per una resa dei conti non rinviabile su assetti e strategie. L’80enne De Benedetti è ovviamente più che un osservatore interessato: sono anni che Espresso-Repubblica (unico vero business strategico della Cir) scalpita per tornare nel mondo delle tv.

Il gioco dei paralleli può essere stuzzicante, anche se non si presenta meno facile che formulare pronostici sull’esito di un risiko delle reti appena iniziato. Già, perché rispetto ai tardi anni ‘80, tutto è cambiato nella “media industry”: che si è globalizzata attorno alla Grande Rete e ha visto fra l’altro affacciarsi Rupert Murdoch, grande fratello della tv satellitare. Per questo la fotografia degli ex duellanti di Segrate che – venticinque anni dopo – siedono in prima persona al tavolo del riassetto dei media nazionali può apparire perfino poco rassicurante per il futuro dell’Azienda-Italia tout court: se non fosse che anche un premier che potrebbe essere nipote del Cavaliere e dell’Ingegnere si sta trincerando dietro la proprietà statale e l’interesse nazionale di un’infrastruttura senza futuro come Rai Way.

Renzi sta offrendo così il fianco alle strumentali grida di dolore di alcuni azionisti del Corriere (Mediobanca e Intesa Sanpaolo) che lo restano – per quanto disimpegnati – anche di Telecom. Certo, rottamare “per decreto” la rete di rame dell’ex monopolista pubblico può danneggiare il valore di Borsa di una blue chip di Piazza Affari: però non sono gli ex grandi nomi del capitalismo nazionale – bancario e non – a poter accusare Renzi di neo-statalismo perché vuole accelerare i tempi sulla rete di nuova generazione. Mediobanca, in particolare, ha pilotato tutti le grandi svolte di Telecom privata: dall’Opv del “nocciolino Agnelli” all’Opa di Colaninno, all’ingresso di Pirelli-Benetton, alla formazione del nucleo Mediobanca-Intesa con Telefonica. Se non ha saputo chiudere il cerchio fra investimenti privati e politica industriale (ad esempio, con il “piano Rovati”) o si è addirittura concessa l’errore di una maxi Opa a debito, non è colpa di Renzi (magari lo è stata di Prodi o Bersani).

C’è un soggetto “vecchio/ nuovo” che per ora si è tenuto lontano dalla mischia, ma che ha buone probabilità di giocarvi un ruolo importante: si chiama Yaki Elkann e ha la stessa età di Renzi. Suo nonno Gianni Agnelli e suo zio Umberto non dettero grande prova nella prima Telecom privatizzata e – a conti fatti – neppure come soci stabili Rcs. Però al Lingotto l’acqua è davvero passata sotto i ponti e poi il presidente della Fiat può contare oggi su Sergio Marchionne: un top manager che ha la stessa caratura di Cesare Romiti. L’allora amministratore delegato della Fiat – e plenipotenziario al Corriere anche per conto di Mediobanca – durante la guerra di Segrate schierò tacitamente via Solferino a fianco di Berlusconi (l’ascesa di Ferruccio De Bortoli come co-direttore alternato a Paolo Mieli inizia in quei mesi) in funzione anti-De Benedetti. E non è detto che anche la Fiat di Elkann e Marchionne possa trovare oggi delle convergenze con Berlusconi ma anche con Renzi sul terreno dei media.

L’operazione Rcs-Mondadori verrà presentata nei prossimo giorni dall’amministratore delegato di via Solferino, Piero Scott Jovane, di stretta fiducia di Torino. E potrebbe costituire la premessa di un vasto riassetto Rcs: nella proprietà (con un rafforzamento Fiat/Agnelli e/o con nuovi soci), nella struttura e nella strategia (forse sbloccando la fusione fra Corriere e Stampa e con un ricollocamento della Gazzetta dello Sport) e infine del management editoriale. Chissà, forse Renzi stesso attende che si chiarisca questa “giocata” prima di insistere sul 51% pubblico di Rai Way con Berlusconi o di avanzare frontalmente “contro” Telecom sulla rete di nuova generazione. Per di più, su quest’ultimo fronte, non va trascurato il ruolo della Fondazione Cariplo: capofila delle Fondazioni socie di Cassa depositi e prestiti, oltreché grande azionista di Intesa Sanpaolo.