Le dimissioni annunciate da Piero Ciucci, presidente dell’Anas, il primo lunedì di lavoro del neo-ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, si è conquistato le aperture dei siti di news. Invece le visite dei vertici di Telecom e Vodafone a Palazzo Chigi – “a cordiale colloquio” con il premier Matteo Renzi – hanno registrato nei giorni poco piu che brevi di circostanza: segno inequivocabile che il futuro delle reti digitali in Italia è forse più fragile ancora di un viadotto in Sicilia.

Nessuno che di mestiere faccia il giornalista si sognerebbe di oscurare la notizia dell’ennesimo semi-crollo di un ponte autostradale. E neppure quella del passo indietro – dovuto – da parte di uno dei più vecchi “boiardi” ancora in circolazione: giovane direttore finanziario dell’Iri ai tempi delle privatizzazioni d’oro, approdato poi in stanze dei bottoni come la società per il Ponte sullo Stretto di Messina: accessibili, per l’appunto, soltanto a navigati tecnocrati di Stato e parastato.

A forte rischio di paradosso e provocazione, il vero problema – politico ed economico – posto dal cedimento sulla A19 non ci sembra quello di un’infrastruttura malcostruita e pericolosa, ma quello di un’infrastruttura inutile e superata: sia a generare Pil “di qualità” nella sua realizzzaione, sia a fare da piattaforma per la generazione del “Pil degli altri”. Un’infrastruttura buona al massimo ad alimentare la narrazione “mediatico-giudiziaria” su un sistema-Paese malfunzionante perché corrotto ed eternamente bisognoso di Pm-badanti.

Invece l’Azienda-Italia non funziona (anche, soprattutto) perché ha bisogno di tanta banda larga, utile a tanti: a professori universitari, ricercatori e studenti; a imprenditori “uno-due-o-tre-punto zero”, a consumatori che non vogliono più intasare le autostrade per andare agli “outlet”; perfino a editori e giornalisti nazionali in cerca di zattere di sopravvivenza.

Le dimissioni del presidente dell’Anas sarebbero da prima pagina se fossero le ultime: se certificassero la fine non solo di una struttura, ma di una politica industriale impastata d’asfalto e vecchia di decenni. Invece avrebbero dovuto essere da prima pagina i colloqui fra un premier ufficialmente entisaiasta di tutto ciò che è information & communication technology, i capi dell’ex campione nazionale delle tlc e di un gigante globale pilotato da un manager italiano come Vittorio Colao.

Perché sul lancio della rete di nuova generazione rimane – “as usual” – tutto fermo agli annunci ad effetto come lo spegnimento della rete di rame Telecom? Perché uno Stato proprietario della Cassa Depositi e Prestiti e di Metroweb, chiamato alla prova dei fatti sceglie di non decidere, al pari della difesa pubblicistica della Rai? Perché un premier-leader del Pd non sente almeno un briciolo di responsabilità “politica. storica morale” (avrebbe detto il suo predecessore benito Mussolini) per il disastro compiuto su Telecom dai predecessori Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani?

Se dal vertice di Palazzo Chigi fosse uscito poco più di una breve sul futuro (immediato) delle tlc in Italia, avrebbero avuto più senso sia le dimissioni al vertice dell’Anas, sia le prime affermazioni di un neo-ministro delle Infrastrutture – avvicendato “per opportunità politica” – vagamente disinteressato alle vecchie “grandi opere”.