Due mesi fa il capo della Vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, è volato fino a Bolzano per esporre alle Banche di credito cooperativo un modello di riforma sostanzialmente equivalente a quello imposto per decreto dal governo alle Banche popolari, il “grande” credito cooperativo. L’occasione – un convegno delle Raiffeisenkassen del Sud Tirolo  – è stata insolita solo in apparenza: se le Bcc altoatesine hanno sempre goduto di un’autonomia pari a quella goduta dalla loro amministrazione provinciale, è vero che la loro struttura (direttamente mutuata dalle esperienze tedesche e austriache) è parsa a via Nazionale singolarmente utile per esercitare la più energica moral suasion sulla Bcc del “resto d’Italia”. A esse la Vigilanza italiana – sospinta dalla nuova supervisione della Bce – ha infatti delineato come percorso evolutivo quasi obbligato un compact imperniato su una holding forte (una Spa aperta alla quotazione in Borsa), una vera e propria “capogruppo” delle oltre 400 Bcc italiane.

Al sollecito la Federcasse ha risposto rivendicando il diritto all’autoriforma (quella concessa ad esempio alle Fondazioni bancarie) e soprattutto la prerogativa di non snaturare il “modello italiano”: basato sull’indipendenza dei singoli istituti e sullo sviluppo di reti orizzontali di sicurezza progettate già prima dello scoppio della grande crisi. La dialettica fra la Federcasse e le authority ha prodotto un ventaglio di opzioni tecniche: ispirate all’esigenza – in astratto poco contestabile – di ridurre l’autonomia delle singole Bcc, sottoponendole a vincoli e controlli finalizzati a prevenire crisi e dissesti.

In concreto, tuttavia, l’autoriforma “spontanea” arranca: sia sul versante del raggruppamento delle Bcc in sub-holding interregionali, sia sulle technicality mirate a contrattualizzare i nuovi rapporti fra Bcc e piramide di holding. E per curioso paradosso uno dei nein più netti al “modello Raiffeisen” verrebbe posto dalle Raiffeisen altoatesine, oltreché dalle loro cugine trentine (se è possibile ancora più autonome e compatte attorno alle loro strutture provinciali) e da alcune “super-Bcc” lombarde.

La palla è ora alla Banca d’Italia: fra un mese il governatore Ignazio Visco difficilmente potrà ignorare il caso-Bcc nelle sue Considerazioni finali. E sarà curioso vedere se insisterà sulla riforma “da manuale” (suggerita da Francoforte) oppure se – già nel frattempo – deciderà di ripartire dalla realtà storico-economica di una delle componenti storiche del sistema bancario italiano. (Che senso ha il blitz “ideologico” sulle Popolari Spa se subito dopo l’autoriforma delle Fondazioni ha dovuto predisporre in tutta fretta lo spostamento di quest’ultime dai noccioli duri dei “campioni nazionali” a quelli di progetti di super-Popolari?)

Le Bcc – nel loro progetto originario di autoriforma in 7 punti  – hanno messo nero su bianco il loro impegno a razionalizzare il loro network con fusioni rafforzative. Perché non lasciarle fare a modo loro? Magari cominciando dal loro caso per invertire almeno un po’ il ruolo della vigilanza italiana nell’“intermediare” l’Unione bancaria da Nord verso Sud.