Sabato prossimo – fra poco più di cento ore – va in scena una super-assemblea collettiva. Banco Popolare e Credito Valtellinese, Popolare di Milano e di Vicenza. A stretto giro, nei fine settimana di aprile, sono convocate le assise annuali di Ubi, Popolare Sondrio e Bper: per tutte sarà l’ora dell’”anteprima” bruscamente decretata dal governo e subito approvata sotto fiducia dal Parlamento.
Per l’ultima volta le grandi Popolari metteranno ai voti bilancio con la governance cooperativa: con il voto “per teste”, per quanto modernizzato dalla facoltà allargata – per ciascun socio – di intervenire in assemblea con dieci deleghe.



Era il percorso (molto) gradualistico intrapreso dalle Popolari ancora fiduciose di poter “patteggiare” con governo e Bankitalia un’autoriforma di sostanziale continuità. Il colpo di mano di Renzi – forse l’unica riforma rottamatoria davvero riuscita in assoluto in un anno di governo – costringerà quasi sicuramente tutte le grandi Popolari a trasformarsi in Spa assai prima dei 18 mesi concessi dall’”investment compact”.



Probabilmente già prima della fine dell’estate, altre assemblee in sede straordinaria obbligheranno decine di migliaia di soci a far calare il sipario su una forma di governo dell’impresa creditizia che vantava un radicamento plurisecolare in Italia. Liturgie superate e pericolose secondo il decreto-blitz varato a gennaio, sotto la pressione tacita della nuova vigilanza Bce e con l’assenso notarile della Banca d’Italia.

Giusto o sbagliato, le Popolari hanno saputo far valere ben poco le loro ragioni: anzitutto sottraendosi al ruolo di capri espiatori per il credit crunch, simbolo della grande recessione. E ora. in fondo, sembrano aver ragione quei vertici di Popolari che hanno accettato la sfida della ruvidissima “suasion” del governo. Sia il Banco che la Milano paiono orientati a favorire al più presto la nascita di nuclei di soci stabili: incaricati a loro volta di preparare aggregazioni.



L’intervento delle Fondazioni – peraltro già presenti nell’azionariato di varie Popolari – pare scontato: tanto più che la recentissima “autoriforma” negoziata dall’Acri con il Tesoro sembra addirittura favorire lo spostamento degli investimenti dalle vecchie “banche conferitarie” (come UniCredit e Intesa Sanpaolo) ai nuclei in cantiere per le Popolari.

Le stesse Fondazioni – pur proiettate tradizionalmente su investimenti a medio e lungo termine – non potranno discostarsi troppo dall’approccio degli investitori di mercati: quali Popolari hanno ancora margini di crescita nel loro progetto d’impresa? Quali piani d’aggregazione possono rispondere meglio alle attese concentriche di Borse, mercato del credito, governo e authority?