Ieri sera un’economista bulgara, naturalizzata apolide e sconosciuta ai più, ha recitato a nome del Fondo monetario internazionale una poesiola conosciuta ai più: l’economia italiana (ora che non c’è più Silvio Berlusconi e c’è un premier di centrosinistra, ndr) promette benino, anzi quasi bene (uno zero-virgola in più di Pil, anche se sempre zero-virgola nel 2015). Certo, può e deve “fare di più”: anzitutto sulle privatizzazioni (il governo Renzi s’è dimenticato delle “promesse ambiziose” che aveva fatto ai mercati? Un pezzetto di Enel non è nulla: la vendita delle Poste dov’è finita? Show us the cake, Matteo, mostraci il dolce). E poi, of course, ci vogliono più “riforme” (Jobs Act e blitz sulle Popolari da scalare sono piaciuti molto, ma non basta). Ci è scappata comunque una promozioncella d’incoraggiamento, anche se più di un “debito” da saldare. Arrivederci in autunno e fate i compiti a casa, voi soliti europei del Sud.
Ieri mattina un vecchio sociologo italiano ha detto in un’intervista che l’Italia si sta riprendendo, ma solo un po’, anzi pochino pochino. Non è un “gufo” di professione, Giuseppe De Rita, anzi: il fondatore del Censis è l’intellettuale che quarant’anni fa disse al Paese dell’iperinflazione e del terrorismo di svegliarsi, di scacciare fantasmi e incubi, di “emergere”. Di (ri)tirar fuori soldi, voglia e gusto di lavorare, soprattutto in bottega. Anche nel 2015 De Rita è convinto che il Paese sia “sommerso”: non povero e neppure distrutto dalla più grave recessione del dopoguerra.
“I consumi salgono lentamente – ha detto alla Stampa – è un risultato. Tutti dicono che in Italia non c’è più un euro, ma non è vero. Aumentano i depositi bancari, le polizze vita, il risparmio nei fondi d’investimento (30 miliardi a trimestre), i soldi provenienti dall’economia sommersa e nascosti nel materasso. Lo conferma il fatto che in giro sono introvabili le banconote da 200 e 500 euro. Il nostro sistema economico e sociale si regge su un tessuto di piccole e medie imprese, su una rete di banche radicate sul territorio, su un modello di welfare che, tutto sommato, funziona e ha retto bene. Dall’inizio della crisi le famiglie si sono costituite un “tesoretto”.
“I soldi ci sono ripete De Rita – ma in gran parte vengono patrimonializzati, gli italiani non li rimettono in giro. Hanno paura. Finora dall’Istat è arrivato un dato aggregato. Bisognerà analizzarne nei prossimi mesi la composizione per capire se l’Italia ha davvero imboccato la strada della risalita. Oggi si registrano segnali positivi ma il quadro resta preoccupante”. Troppo risparmio soprattutto è ancora allo stato di “capitale inagito”: le famiglie e le imprese si autofinanziano in questo modo, facendo fronte ai minimi bisogni di ogni giorno, “ma senza tensione a innovare e restando ancora seduti sul proprio risparmio”.
Chissà chi è il vero ottimista sull’Italia fra Petya Koeva e De Rita. Quest’ultimo, a ogni buon conto, vede ancora spenti gli interruttori in milioni di teste italiane e ben chiusi i risparmi nei materassi. Sa che a cambiare le cose (cioè le teste) non riusciranno certo i bigini riformistici stampati in serie a Washington. Ma ci ricorda che in Italia, “se succede”, la ripresa succede davvero.