Tre giorni fa, a proposito del caso Cassa depositi e prestiti, avvertivamo il lettori del Sussidiario: “Al suo primo vero test con il big business il premier rischia da farsi male se non riesce a recuperare il rapporto con un manipolo di presidenti-veterani di Fondazioni che – a differenza di lui – non devono dimostrare niente a nessuno e continuano a presidiare le grandi banche”. La lettura de Il Corriere della Sera di ieri mattina ci ha confermato che il chiarimento è in pieno svolgimento. La combinazione dell’intervista rilasciata in primo piano da Matteo Renzi, l’editoriale di Francesco Giavazzi sul caso Cdp e l’ulteriore intervista a Giuseppe Guzzetti – leader dell’Acri – segnala anzi che attorno al ricambio dei vertici della Cassa sta forse maturando una svolta politica tout court: una sorta di “super-Nazareno”, un patto strutturale fa due forze reali del sistema-Paese come il governo Renzi e le grandi Fondazioni bancarie del nord, co-azioniste della Cdp assieme al Tesoro.

È interessate anzitutto che questo “confronto in pubblico” avvenga da una pagina all’altra de Il Corriere della Sera. A Matteo Renzi per primo è evidente che se – come ha ribadito – vuole far durare il suo governo fino al 2018 deve stabilire con Milano e con i macro-distretti del Nord rapporti diversi dai comizi d’occasione all’Expo (disertando tuttavia l’assemblea Confindustria) o dai blitz punitivi sulle Popolari. Nell’ultima domanda dell’intervista, al premier viene chiesto: “Per lei il vento sta cambiando?”. Certo che sta cambiando, fra il voto ligure, quello veneto e un’invasione di immigrati: ammesso che a Renzi sopra l’Appennino il vento sia mai stato favorevole. Quindi è giunta l’ora, per il super-sindaco d’Italia, di prendersi le misure con via Solferino e i mondi circostanti.

È interessante – forse il contenuto più interessante del “pacchetto” – che l’ultra-liberista Giavazzi si cimenti in un mini-saggio sulla nuova “economia mista” in cantiere in Italia: argomentando – lui, genero di Francesco Cingano – la migrazione della “vecchia Cdp” in “nuova Mediobanca”, in next thing del proverbiale capitalismo senza capitali avvolto nel tricolore. La conclusione è che di tutto in Italia c’è bisogno fuorché di una “nuova Iri”: ma questa equivale a schierarsi – oggettivamente – a difesa di Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, l’attuale ticket di vertice della Cdp che Renzi vorrebbe rimuovere

Il bocconiano Giavazzi, che sul column del Corriere si ritrova sullo stesso lato della strada delle Fondazioni, è comunque una rara chicca (la sua ventennale rassegna stampa in via Solferino è ricca di polemiche roventi, a senso unico). Ma non del tutto scontata è anche la difesa flessibile di Bassanini adottata da Guzzetti in un’intervista tutt’altro che polemica, anzi. Il leader della Fondazione Cariplo e dell’Acri (che celebra da giovedì a Lucca il suo congresso nazionale) tiene naturalmente sul tavolo la fiducia appena riconfermata al presidente in carica, che avrebbe ancora un anno di mandato davanti. È evidente che – trattandosi di una casella di sua spettanza a termini di statuto – farà il possibile per lasciare Bassanini al suo posto nel compromesso finale. Claudio Costamagna, l’ex banchiere della Goldman Sachs precandidato dal Tesoro alla presidenza Cdp, verrebbe in questo caso presumibilmente dirottato sulla sedia più operativa di amministratore delegato (su Fabio Gallia, Ceo di Bnl, peserebbe una lieve incognita di tipo giudiziario per un’inchiesta della Procura di Trani).

Se tuttavia dovesse accogliere una richiesta ferma del Tesoro (che controlla la Cassa all’80%), Guzzetti ha già posto le sue condizioni “di linea rossa”. Con due nomi e cognomi: Ilva e Telecom. La prima è l’esempio di “azienda decotta” che la Cdp non potrà mai “salvare” a meno che non cambi lo statuto (quindi: solo se le Fondazioni potranno uscire da una Cdp “3.0”). Telecom – l’ex campione nazionale in cerca di proprietari, ma soprattutto il gestore della rete tlc da rigenerare in banda larga – è invece un dossier trattabile, sempre a patto di garantire la redditività della Cassa e la remunerazione dei suoi azionisti

Terzo e non ultimo: il capo dell’Acri rilancia il ruolo degli 88 enti aderenti, a poche settimane dalla sigla dell'”atto negoziale” con il Tesoro, per ridefinire alcuni aspetti di gestione del patrimonio e governance, dopo gli “incidenti” in Mps e Carige. Guzzetti propone che il “welfare di comunità” diventi una strategia-Paese: che il governo faccia leva sul network delle Fondazioni e sulla loro expertise ventennale per una ripresa in grande stile della sussidiarietà come gestione di molti servizi alla persona, quelli che lo Stato non riesce più a produrre in modo efficiente-efficace. Qui la sfida di Guzzetti – ex presidente della Regione Lombardia ed ex senatore – è squisitamente politica e guarda diritto negli occhi il premier neo-centralizzatore. Un Renzi straniero al Nord d’Italia, per non dire della plateale esclusione dell’Italia dalla stanza dei bottoni Ue (mai accaduto in 58 anni per lo Stato “grande fondatore” assieme a Francia e Germania). Un Renzi più asserragliato a palazzo Chigi che impiantato in una Roma ridotta dal suo Pd a un’immensa “terra di mezzo”.