Colpito come segretario del Pd al voto amministrativo, Matteo Renzi tenta subito il rilancio come premier. L’agenda è scritta, serrata, in parte concatenata: un mix – non privo di azzardi – di operazioni di puro potere e di pura comunicazione politico-economica.

Il prossimo consiglio dei ministri – forse già in settimana – potrebbe esaminare il piano “banda larga” e magari vararlo subito per decreto, nella più stretta liturgia renziana. La rete di nuova generazione (“internet veloce a basso costo per tutti gli italiani”) è argomento di sicuro appeal. E poi mobiliterebbe da subito risorse ingenti (alcuni miliardi di euro di investimenti) in uno schema ancora da studiare in dettaglio, ma sicuramente coinvolgendo grandi operatori privati delle tlc (Telecom, Vodafone, Wind).

E’ un terreno – quello del big business con grandi multinazionali nel mercato aperto – sul quale il governo in carica si è ancora misurato poco o nulla. Per questo non stupisce che a preambolo del “decreto banda larga” sia in preparazione un ricambio al vertice della Cassa depositi e prestiti, la banca di sviluppo controllata dal Tesoro assieme a un pool di Fondazioni bancarie. A essa fanno capo un grappolo di importanti fondi strategici (infrastrutture e reti, private equity, edilizia sociale, ecc.) e partecipazioni qualificate in Eni, Snam, Terna. Cdp controlla anche Metroweb, gestore di banda larga erede del pionieristico progetto eBiscom a Milano e poi in altre città italiane.

Il presidente in carica di Cdp Franco Bassanini e l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini non sono stati designati da Renzi. Sono sicuramente l’espressione di altri equilibri politico-finanziari: quelli che avevano come perni l’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti, nel centrodestra, e l’Acri, a lungo titolare del 30% della Cassa attraverso 66 Fondazioni (Gorno Tempini proviene da Intesa Sanpaolo, la “banca delle Fondazioni” per eccellenza). Certo, il ticket non è in scadenza: la sua sostituzione sta avvenenedo – in gergo calcistico – “per scelta tecnica”; cioè per l’indubitabile esigenza politica del premier di poter maneggiare con piena libertà la leva Cdp: forse l’unico braccio diretto di politica economica a disposizione.

Non sono sorprendenti neppure i nomi che sarebbero i pre-designati. Claudio Costamagna (alla presidenza) era il giovane plenipotenziario di Goldman Sachs in Italia nell’epoca d’oro delle privatizzazioni. C’era anche lui sul “Britannia”, nel 1992, con l’allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, al fischio d’inizio della grande vendita delle aziende di Stato. Fu lui – assieme all’allora presidente dell’Iri Romano Prodi – a comunicare il prezzo dell’Opv-capofila, quella del Credito italiano. Ma fu ancora lui, quattro anni dopo, a firmare una raccomandazione decisiva per la ristrutturazione del sistema bancario italiano: alla Fondazione Cariplo (già presieduta da Giuseppe Guzzetti, tuttora presidente dell’Acri) la Goldman consigliò di aggregare la Cariplo con l’Ambroveneto di Giovanni Bazoli e non con la Comit innestata nel sistema-Mediobanca.

Fabio Gallia, attuale amministratore delegato di Bnl-Bnp Paribas, è uno dei manager bancari italiani più affermati dell’ultima generazione. Piemontese d’origine e di formazione (alla Ersel-Giubergia) è poi approdato a Capitalia, occupandosi prevalentememnte di risparmio gestito e servizi finanziari alle persone. Passato in Bnl, ha gestito l’ex banca-leader del paese sotto il controllo del gigante francese Bnp. Non stupisce che il ruolo di country manager italiano di una multinazionale europea gli andasse un po’ stretto: né che Renzi e l’ambiente politico-finanziario della capitale (rimasta orfana di istituzioni bancarie ad eccezione della Cdp) abbiano deciso di giocare la sua carta per spezzare l’egemonia nordista sulla Cassa di cui anche Gorno Tempini era certo espressione.

Un nuovo management alla Cassa per fare cosa? Il primo dossier è senz’altro quello della banda larga, che mira peraltro ad avanzare la linea di monitoraggio e d’intervento del governo su Telecom: che per ora resiste al pressing di Renzi per l’integrazione con Metroweb e la parziale ripubblicizzazione della rete tlc tradizionale. Ma in Telecom sta per entrare come azionista di rilievo la francese Vivendi, pilotata da Vincent Bolloré: socio stabile di Mediobanca e storico partner d’affari di Silvio Berlusconi. E questo quando l’intero scacchiere dei mediaold e new è alla probabile vigilia di un riassetto radicale (con Rai, Mediaset e Sky sotto i riflettori).

Renzi ha intanto deciso di far suonare in anticipo un’altra campana: quella delle riforma delle pensioni. Il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, ha convocato le parti sociali per lunedì 15 giugno. Sul tavolo, ormai è quasi ufficiale, metterà un piano del governo per aumentare la flessibilità in uscita dei lavoratori over 55: per mandare in pensione anticipata centinaia di migliaia di italiani e far posto ad altrettanti giovani disoccupati. Una partita che si annuncia di impegno superiore a tutte quelle finora giocate da Renzi, Jobs Act e riforme istituzionali comprese. Vuol dire convincere i pensionandi ad accettare (subito, forse per sempre) una pensione più bassa di quella attesa e di quella di chi è già in pensione (anche se la manovra probabilmente includerebbe anche una sforbiciata alle pensioni esistenti, politicamente rischiosissima). Ma “riforma delle pensioni” vuol dire anche strappare al fronte imprenditoriale precisi impegni ad assumere giovani disoccupati; vuol dire sollecitare pesantemente il bilancio dell’Inps e quello dello Stato sotto la vigilanza occhiuta della Ue tedesca nei giorni di “Grexit”

Al proprio “menu di rilancio”, comunque Renzi difficilmente farà mancare una portata geopolitica: mercoledì 10 il presidente russo Vladimir Putin (escluso ieri dal G7 tedesco) sarà in visita all’Expo. Si è fatto precedere da un’importante intervista al Corriere della Sera, in cui ha sapientemente solleticato i dubbi – maggioritari e trasversali nell’opinione pubblica europea – sul “muro contro muro” in Ucraina. Putin ha ripetuto che Mosca si sente europea, vuole convivere pacificamente con la Ue facendo crescere le relazioni economiche globali. E anche quando resta nel sottinteso, la Russia è – con la Cina – il possibile “cavaliere” finanziario di una Grecia disperata. Per questo Repubblica si è affrettata a riferire proprio ieri di un monito Usa verso Roma riguardo l’applicazione delle sanzioni ucraine. A Silvio Berlusconi l’amicizia personale con Putin fu fatale, così come l’impostazione filo-russa e filo-araba di una tradizionale politica estera italiana energy oriented. Però dopodomani Putin è ancora qui: da Renzi.