Forse il debito greco non era già più la posta principale sul tavolo dell’Eurosummit, ieri sera. La stessa convocazione affannata di un organismo posticcio della Ue ha confermato quanto la vera “crisi” — nel luglio 2015 — sia ormai la governance dell’Europa tout court. L’eurozona è competenza concreta dei ministri finanziari dell’Eurogruppo, mentre il consiglione dei capi di Stato e di governo dei 28 è sede di grandi decisioni politiche, non di discussione su qualche miliardo in più o in meno a un paese membro. Lo stallo sulla Grecia era chiaramente troppo anche per una storica maratona dell’Eurogruppo: 14 ore in due giorni, con tanto di scena madre fra il falco tedesco Wolfgang Schauble e il presidente italo-americano della Bce, Mario Draghi. 

Alla stretta finale, tuttavia, un “plenum” europeo sul caso greco si è rivelato troppo rischioso per tutti: troppo elevata, ieri a ora di pranzo, la probabilità di una pur composita maggioranza pro-Atene (dalla Francia all’Italia e, non ultima, alla Gran Bretagna). Rischiosa anzitutto per la Germania che — paradosso dei paradossi — si è presentata ai vertici post-referendum greco meno compatta e lucida di quanto abbia fatto il disperato governo greco. Così, una settimana dopo il netto risultato del referendum popolare greco, i leader europei hanno consumato 48 ore di rinvio in rinvio: producendo bozze su bozze non approvate e già passate agli annali per le loro “parentesi quadre” (la più importante riguardava la Grexit a cinque anni, minacciata da Berlino). 

E licenziando, in serata, una richiesta ultimativa al cui confronto è impallidita anche la famosa lettera inviata dalla Bce al governo italiano nell’estate di quattro anni fa: le prime riforme italiane arrivarono venti settimane dopo, non nell’arco di 72 ore. E’ vero che l’Italia di allora aveva fondamentali molto diversi da quelli greci (e anche oggi è così). Ma è altrettanto vero che l’Italia del 2011 pagò il salvataggio forzato dall’attacco speculativo dei mercati con l’avvento di un governo tecnico, di rottura ostentata rispetto alla leadership di Silvio Berlusconi: sgradito al cancelliere Angela Merkel non meno di quanto lo sia oggi Tsipras (il quale peraltro, a differenza del Cavaliere, ha dalla sua gli Usa di Obama, oltre a una situazione geopolitica assai più favorevole alle ragioni di Atene). 

Quattro anni fa, inoltre, Frau Merkel era quasi all’apice del suo ciclo personale e la sintonia con il presidente francese Sarkozy era quasi totale. Oggi la cancelliera è sotto doppia pressione nella sua Große Koalition (dagli intransigenti della Cdu-Csu e dalla Spd) e ha nella Francia di Hollande un partner assai meno fidato che in passato. E la Grecia, ormai, è quasi un pretesto, un “casus belli” improvvisato dal periferico Tsipras a beneficio inatteso di tutti coloro che già si accingevano ad affrontare una Germania apparentemente poco attaccabile. Dalla Gran Bretagna di Cameron — che ha già calato la carta lunga del referendum 2017 sulla permanenza nella Ue — al successore di Barack Obama alla Casa Bianca dall’autunno 2016.