Il Monte dei Paschi di Siena cambia il presidente, Intesa Sanpaolo sceglie un nuovo modello di governance, UniCredit rimescola la prima linea del management. A parecchi potrà non essere piaciuto, ma è stato il ruvido ricambio deciso dal premier Matteo Renzi alla Cassa depositi e prestiti a mettere in moto una giostra nelle stanze dei bottoni delle grandi banche italiane. Che promette solo di continuare, sulla scia del colpo di frusta dato dal governo alle Popolari all’inizio dell’anno, mentre anche le Fondazioni “autoriformate” sembrano vicine a una cambio di stagione.



È fin troppo banale appaiare l’ascesa di Massimo Tononi al vertice di Mps con quella di Claudio Costamagna alla presidenza della Cdp. Però è un fatto che si siano succeduti alla guida di Goldman Sachs in Italia; e se Costamagna è stato braccio destro di Romano Prodi, presidente dell’Iri e poi premier nell’epoca ruggente delle privatizzazioni, Tononi ha militato nell’esecutivo Prodi-2 come sottosegretario al Tesoro.



Può non rendere merito al valore di Alessandro Profumo, né a quello di Roberto Nicastro, segnalare il loro ritiro contemporaneo: l’uno da Rocca Salimbeni – dopo tre anni di difficile traghettamento – l’altro da UniCredit, dov’era numero due del Ceo Federico Ghizzoni, dopo essere stato il luogotenente di più lungo corso dello stesso Profumo in Piazza Cordusio (ora per Nicastro qualcuno ipotizza il passaggio alla tolda di Bnp-Bnl, lasciata libera da Fabio Gallia, chiamato come amministratore delegato nel nuovo ticket Cdp).

L’accelerazione di Intesa Sanpaolo verso uno snellimento sostanziale della struttura di governo societario – tuttora duale – sembra aumentare la probabilità che la prossima primavera Giovanni Bazoli abbandoni dopo 34 anni una presidenza virtualmente “a vita” dopo la ricostruzione dell’Ambrosiano. Il Professore bresciano è stato protagonista-oggetto di una delle prime polemiche pubbliche del Renzi rottamatore ancora al tempo delle primarie del Pd, ma il punto alla fine non sembra questo: è neppure se, dieci anni dopo la fusione, la prima poltrona toccherà a un esponente torinese come Gian Maria Gros-Pietro.



Dietro cognomi e organigrammi, la questione sembra più profonda. Tutte e tre le grandi banche milanesi dell’era contemporanea (UniCredit, Intesa e Mediobanca) si presentano appannate. Non è neppure un problema di conti: fra le cugine europee sopravvissute alla grande crisi ve ne sono in condizioni più precarie, reduci da crisi peggiori di quelle sofferte e risolte a Milano. Le tre sorelle meneghine, piuttosto, sembrano aver smarrito un’identità: non sono più trainanti di alcun progetto-Paese (simbolico il disimpegno finale da Telecom). E mentre l’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, se ne esce in sordina dal caso Ligresti, non è un caso che Renzi punti sulla trazione Goldman sia per la “nuova Iri”, sia per il delicato riassetto del Montepaschi, ancora da mettere in sicurezza sia sul piano strategico-finanziario che su quelli giudiziario e politico.