Alla vigilia di San Silvestro, il Financial Times ha scritto che il vertice del conglomerato finanziario svizzero Zurich avrebbe messo in cima alla lista dei candidati per la poltrona di chief executive l’attuale amministratore delegato delle Generali, Mario Greco. Il quotidiano della City ha aggiunto che i vertici del Leone, una volta informati delle mire del colosso elvetico, avrebbero programmato un ritocco migliorativo per il pacchetto-compenso di Greco: che Ft definisce top business talent e il cui mandato triennale scade con l’assemblea primaverile. Il compenso annuale di Greco – che ha già lavorato ai vertici delle attività assicurative di Zurich – ammonta oggi a 3,25 milioni di euro. Il Ceo di Generali (che secondo FT si sarebbe impegnato a prendere una decisione definitiva entro gennaio) sostituirebbe Martin Senn, che ha lasciato Zurich dopo aver fallito l’acquisizione della britannica Rsa e che percepiva finora 7,7 milioni all’anno.

L’1 luglio 2012 (ultimo giorno in cui le Generali sono state affidate a Giovanni Perissinotto, allontanato dopo una lunga fase turbolenta nella governance della compagnia) il titolo quotava in borsa 10,78 euro determinando una capitalizzazione di Borsa di 16,7 miliardi. Una parte determinante del valore del titolo, come è noto, è dato dal valore attuale degli utili futuri relativi ai contratti già in portafoglio (in sigla Vif, “value of in force”) che – principalmente a causa dell’allargamento degli spread italiani (quello significativo fra Btp e swap all’ luglio 2012 era 382 punti base) aveva un valore pari a 6.8 miliardi, come risulta dalle comunicazioni societarie.

Lo scorso 1 ottobre 2015, con gli spread in forte compressione (78 punti base lo spread tra Btp e swap), il valore del portafoglio è stimabile un po’ più in alto rispetto alla fine dell’ esercizio 2014 (14,5 miliardi sempre da comunicazione dell’emittente): approssimativamente sugli 15,2 miliardi (per i tecnici: dalla comunicazione dell’ emittente l‘Available Capital del cosiddetto Solvency Ratio è aumentato di 1,6 miliardi, +4,5%; applicando la stessa percentuale al Vif di fine 2014 si può stimare un Vif pari a 15,2 miliardi). L’incremento è stato comunque di 8,4 miliardi.

Allo stesso 1 ottobre la capitalizzazione delle Generali è aumentata da 16,7 miliardi di 39 mesi prima a 25,3 miliardi (titolo da 10.78 a 16.36 per azione). L’incremento puntuale stato di 8.6 miliardi. È elementare constatare che la quasi totalità dell’incremento di valore del titolo Generali è dovuto all’aumento del Vif, grazie quindi al restringimento degli spread italiani, che nel 2012 erano ancora in tensione dopo la crisi del debito sovrano italiano, esplosa nella seconda parte dell’anno precedente. L’andamento della quotazione Generali ha quindi riflesso fondamentalmente l’apprezzamento dei mercati rispetto al rischio-Italia: atteggiamento peraltro razionale da parte dei mercati verso una compagnia d’assicurazione particolarmente esposta verso i titoli pubblici di un Paese. In altre parole ancora: il titolo Generali ha essenzialmente “replicato” un indice, quello della rischio-Italia. E il “resto”, cioè la gestione del gruppo, la sua capacità interna di creazione di valore?

Un grafico disponibile sul sito delle Generali mostra ad esempio l’evoluzione dei costi della holding Generali nel periodo della gestione-Greco. Tali costi sono quasi raddoppiati in meno di quattro anni. È una variabile caratterizzata da una certa “vischiosità asimmetrica di movimento” (facile farla salire, difficile da fare scendere), è anche un numero che partecipa alla formazione del risultato operativo con un onere aggiuntivo pari a quasi 70 milioni l’anno, che –  moltiplicato per il coefficiente usato dagli analisti per la valutazione di una azienda di questo tipo (per Generali tale multiplo valeva 6,288 volte alla fine del 2015, per la francese Axa lo stesso multiplo valeva 7,905), produce un minore valore per l’azionista. Non sorprende certo che il ternd relativo della quotazione di Generali rispetto ad Axa – tradizionale punto di riferimento europeo per Generali – fra il 2010, prima della crisi dello spread italiano, e oggi, mostri un trend univoco e significativo: al ribasso.

Forse basterebbe questo per interrogarsi un poco sulla “mosconata” di fine anno di FT: per chiedersi se davvero gli azionisti delle Generali e soprattutto i loro consiglieri non hanno scelta davanti al “prendere o lasciare” mediatico posto da Greco. Più in generale, è il “top business talent” – ufficiosamente conteso – a riporre ufficialmente sotto i riflettori le prospettive strategiche di quella che resta un’ormai rara Azienda-Paese e una grande istituzione finanziaria, un tempo di ampio respiro europeo. Le Generali sono davvero nelle mani di un pilota-talento, la cui dipartita da Trieste produrrebbero una perdita di rotta e di velocità? Ma c’è dell’altro.

L’esercizio 2012 – quello del brusco passaggio di consegne Perissinotto-Greco – è stato interessato da pesanti svalutazioni prudenziali riguardanti operazioni ritenute a rischio-perdita per i conti del gruppo e quindi per gli azionisti (si trattava fra l’altro di operazioni con il gruppo Finint). Ora tali operazioni sono scadute a inizio 2013 senza presentare alcuno degli orribili effetti paventati a danno degli azionisti, anzi consentendo al consuntivo aziendale per il 2013 di beneficiare di quanto precedentemente accantonato a perdita.

Negli ultimi mesi le Generali hanno ceduto la Banca della Svizzera Italiana al gruppo brasiliano Btg Pactual, il cui Ceo è stato successivamente arrestato per corruzione, decretando pesanti perdite nella quotazione della sua holding. Generali ha forse accettato in pagamento azioni emesse dalla controparte? Se sì, a che prezzo? Con un impegno a non vendere di che durata? Quale perdita sarebbe associabile all’operazione a oggi? E il bilancio 2015 rispetterà la stessa prudenza mostrata nel 2012? Piazza Affari, naturalmente, attende le valutazioni (tutte) da parte del consiglio d’amministrazione presieduto da Gabriele Galateri di Genola.