All’inizio del ‘900, tra le riflessioni se il lavoro dell’assicuratore dovesse essere riservato allo Stato o concesso anche all’iniziativa privata, l’Italia nasceva l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, che con la riassicurazione obbligatoria si appropriò anche di parte del lavoro svolto dalle aziende private che si ostinarono a rimanere attive. La riassicurazione obbligatoria veniva imposta come forma di garanzia per il consumatore, che veniva protetto dall’esistenza dell’Ina nel caso in cui si fossero manifestate difficoltà per le singole compagnie private o per il settore.

L’Italia viveva allora sia le incertezze economiche dell’epoca che l’inizio del suo sviluppo industriale. Il nordest del Paese, forte dell’eredità lasciatagli dall’ex impero appena scomparso, si trovava già dotato di parte di quell’industria dei servizi che non trovava giustificazione economica nelle caratteristiche strutturali del resto del Paese, ancora prevalentemente agricolo. Il governo altalenava tra l’avocare a sé l’operatività di tutto il settore o limitarsi a “guidarlo” grazie a una forte presenza diretta sul campo. La scelta, dopo opportuno negoziato, cadde sulla seconda soluzione, le Assicurazioni Generali Austro-Italiche di Trieste poterono cosi rimanere aperte anche durante gli anni del fascismo (e del salvataggio dell’economia post crisi del ’29).

Il “ventennio” che vide la nascita dell’Ina fu testimone anche della creazione dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale, strumento anch’esso necessario a sostenere le spalle di un’economia allora sviluppantesi in innegabile ritardo rispetto alla parte più evoluta dell’Europa e a digerire le difficoltà prodotte dalla depressione economica di allora. Ina e Iri rimasero in attività per durate probabilmente più lunghe rispetto a quelle pensate nelle intenzioni iniziali (nelle buoni tradizioni contadine si riflette a lungo prima di buttare qualcosa), furono spazzate via da un lato dalla loro non sempre esemplare efficienza, dall’altro anche dall’onda lunga portata portata dal thatcherismo-reaganismo.

Anche in Italia, durante i pochi decenni da allora trascorsi, si è sperimentata una forma (timida) di economia di mercato durante la quale una nuova classe dirigente è cresciuta rinnovando la cultura economica del Paese. Cesare Merzagora (fra l’altro presidente delle Generali, ma distante sia dai grandi nomi della finanza e dell’industria, sia dal bosco o del sottobosco politico) aveva definito le categorie professionali incompatibili con l’equilibrata crescita di un attore di vertice nella finanza globale. Segue le sue orme l’allievo Alfonso Desiata – presidente delle Generali – che non manca di descrivere l’acquisizione dell’Ina da parte del Leone, come una storicamente giusta restituzione di quanto naturalmente apparteneva al gruppo (e forse anche l’eliminazione di un’aberrazione del sistema italiano, agli occhi del suo maestro).

La corsa è veloce, oggi il vecchio Leone ha superato indenne gli anni peggiori della crisi che conosciamo: e inizia ora a scoprire il suo vero avversario. Non è il presunto/temuto aggressore francese (quella Axa del cui embrione Generali aveva rastrellato in Borsa una quota prossima al 40%). È invece un nome nuovo: un avversario che comincia a mostrarsi silenziosamente alle spalle. Cambiamo le sigle a tre lettere: da Iri passiamo a Cdp, da Ina allunghiamo in Poste Vita (che, se acquistasse Pioneer da UniCredit potrebbe presentare la lettura tecnicamente aggiornata della concorrenza che pochi decenni fa occupava il risparmio assicurativo). E ci accorgiamo che lo slancio liberale avuto a traino dell’edonismo reaganiano si spegne in un’incertezza che assume sempre più caratteristiche strutturali, “secolari”.

La trasformazione del servizio previdenziale da fornitura di un servizio al risparmio “finalizzato” al risparmio “gestito” rappresenta anch’essa un passo indietro nel percorso di evoluzione storica di questa industria plurimillenaria. In una fase di recupero romantico dei bei tempi passati, sotto più angolazioni stiamo iniziando il percorso inverso rispetto a quello che ci aveva portati agli innegabili risultati che avevamo raggiunto. La coerenza appare piena, ora vale la pena domandarsi dove sta andando il resto del mondo con cui ci confrontiamo e perché. Per certi aspetti può sembrare che la storia si ripeta, alcuni dettagli esecutivi si avvicinano troppo per non essere notati. Le condizioni ambientali, guardate con il giusto distacco, appaiono strutturalmente diverse. Funzionerà la ripetizione del vecchio modello che sembra riproporsi?