Dopo Nicola Rossi, Stefano Passigli. Ancora un raid para-accademico in campo bancario: da parte di un professore “fiorentino” (Passigli senza alcuna virgoletta); ancora da parte di un ex senatore del centro- sinistra. Rossi, pochi giorni fa, è stato protagonista di una singolare consulenza lobbistica per la Bcc di Cambiano (Firenze), che ha modificato in corsa il decreto di riforma del Credito cooperativo nazionale, in un mare di polemiche. Ora Passigli – politologo di granitiche appartenenze laico-fiorentine – propone, altrettanto in corsa, una specie di “riforma della riforma” delle Fondazioni bancarie.



Sul Corriere della Sera Passigli – militante del Pri spadoliniano poi confluito fra i senatori Ds e quindi nel Pd – ha sostenuto la necessità di modificare il Protocollo negoziale siglato meno di un anno fa tra le 88 Fondazioni dell’Acri e il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan. Qui è previsto che le Fondazioni limitino a un terzo del valore complessivo del loro patrimonio l’esposizione partecipativa verso la cosiddetta “banca conferitaria” (ad esempio: Intesa Sanpaolo per la Fondazione Cariplo e Compagnia San Paolo, UniCredit per Crt e Cariverona, ecc.). Cosa ora propone il politologo toscano, già sottosegretario alla Presidenza del governo D’Alema?



I crolli di Borsa – rileva Passigli – rendono quasi impossibile liquidare pacchetti bancari salvo incorporare forti perdite: osservazione corretta. Allarme rosso, continua Passigli, perché “per una normativa promossa da Amato e da Ciampi le Fondazioni devono dismettere entro un breve lasso di tempo le quote eccedenti il 30% del loro valore patrimoniale”: osservazione due o tre volte non corretta. La disciplina aggiornata per le Fondazioni non è più quella della legge Amato-Carli (1990) e resta solo in parte quella della legge Ciampi-Pinza (1999). Su quest’ultima si è innestato nella primavera 2015 il Protocollo Acri-Mef: è quest’ultimo a sollecitare le Fondazioni (in maniera netta ma senza forza di legge) a dismettere le quote eccedenti, ma nell’arco di un triennio (citiamo dalla Reuters che l’11 marzo 2015 ha informato i mercati sul Protocollo). Di più: proprio i crolli di Borsa hanno fatto rientrare i valori delle grandi partecipazioni bancarie entro i limiti fissati dal Protocollo, congelando quindi la necessità di dismissione.



È quindi davvero poco comprensibile che Passigli invochi un “moratoria” già prevista e in ogni caso al momento non necessaria. Meno incomprensibile diventa forse il raid di Passigli, nella sua parte accessoria: il “soccorso” alle Fondazioni dovrebbe essere contraccambiato con la conversione delle azioni ordinarie delle Fondazioni nelle grandi banche in azioni di risparmio. Argomento affascinante quanto insidioso: ancora una volta si lusingano le Fondazioni a corto di dividendi bancari con la promssa di una cedola stabile del 5%; ma si dimentica che le azioni di risparmio (private del diritto di voto) verrebbero automaticamente deprezzate dal mercato. L’argomento, comunque, non sembra meno raffazzonato dell’uovo di colombo trasmesso sulle Bcc-Spa inviato da Rossi al sottosegretario alla Presidenza Luca Lotti direttamente a nome della Bcc di Cambiano, dove lavora il padre di Lotti.

Si vede lontano un miglio l’ennesimo tentativo “para-accademico” di spezzare le reni alle Fondazioni come residue azioniste-presidio delle grandi banche italiane, altrimenti esposte a ogni rischio di scalata. Già una ventina d’anni fa – del resto – un’altra proposta “laicissima” – quella del presidente di Mediobanca, Francesco Cingano – suggeriva al Governo di espropriare le Fondazioni delle banche pubbliche controllate (Cariplo e San Paolo di Torino, Cariverona e Crt, ecc.) in cambio di Btp. Almeno l’idea di Cingano conteneva la prospettiva di un “piano regolatore del credito” in Italia. Quella di Passigli neppure.