Alessandro Penati, nella sua nota domenicale su Repubblica, propone una sua soluzione per il caso Mps, che sta ormai paralizzando l’intera vita politico-economica del Paese. Secondo l’economista – che è fra l’altro a capo di Polaris, gestore del patrimonio finanziario della Fondazione Cariplo – il valore ormai irrisorio del titolo Mps in Borsa dovrebbe spianare la strada a un’Opa, A lanciarla dovrebbe essere una delle banche italiane cosiddette “aggreganti”. Penati non fa nomi, ma la grande candidata resta Ubi, forse in asse con Bpm, secondo uno schema ufficioso del Tesoro tutt’altro che accantonato. Ma l’ipotesi Penati, in sé potrebbe coinvolgere anche i due campioni nazionali: Intesa Sanpaolo, che ha appena annunciato conti abbastanza brillanti; oppure UniCredit, che invece è in impasse di bilancio, governance, assetti.
L’aritmetica, in ogni caso, secondo il columnist, parlerebbe chiaro: il prezzo di listino del Monte dei Paschi è in super-saldo, sconterebbe già le pur gravi svalutazioni dei crediti. Le obbligazioni subordinate (quelle che sono bruciate in tasca ai risparmiatori di Banca Etruria, Banca Marche, ecc.) quotano già al 50% e potrebbero essere convertite in azioni: garantendo ai portatori la stessa “exit” di mercato offerta a suo tempo agli obbligazionisti Parmalat. Infine – e questo è il passaggio meno scontato del ragionamento di Penati – il nuovo aggregato bancario potrebbe/dovrebbe lanciare una ricapitalizzazione sul mercato, riservata a investitori istituzionali internazionali. Fra questi, secondo Penati, non dovrebbero trovare spazio Fondazioni bancarie italiane, di cui anzi il commentatore lamenta e deplora le chiamate in causa nei di stabilizzare o soccorrere altre banche in difficoltà: in particolare le nuove Popolari Spa (per la verità la Cassa di risparmio di Bolzano è stata rimessa in sesto grazie anche a nuovi capitali immessi dalla Fondazione Cariplo, con il placet di Tesoro e Bankitalia).
Fin qui, comunque, nessuna novità singolare. Penati resta ancorato all’eterna pregiudiziale liberista rispetto ai modelli d’impresa e di governance diversi dalla public company manageriale. Non a caso il punto d’arrivo concreto della “soluzione Penati” è – ancora una volta – la vendita di un polo bancario italiano (ad esempio Ubi-Mps) a grandi investitori stranieri: nel presupposto – immutabile anche nel 2016 – che anche nel settore finanziario una public company manageriale sia di per sé piu’ sicura ed efficiente di qualsiasi altro modello. Resta anzi l’apprezzamento implicito per ogni dinamica di eliminazione ogni “diversità” nel sistema bancario (ad esempio Fondazioni, Popolari e Bcc) facendo strada al capitale finanziario globalizzato e alla confraternita dei manager apolidi.
Ciò anche a rischio di dimenticare che il dissesto di Mps – l’unico vero accusato dal sistema bancario italiano al netto della spirale austerity-recessione degli ultimi quattro anni – è stato provocato da un puro “fatto di mercato”: l’offerta di AntonVeneta al Monte come “scarto” di una maxi-Opa bancaria risoltasi in una raffica di fallimenti (Rbs-Santander-Fortis su Abn Amro) e la Vigilanza della Banca d’Italia di Mario Draghi autorizza senza esitazioni piani e valutazioni dei vertici Mps e delle banche d’affari che consigliano l’operazione sul mercato.
Ciò che comunque convince poco della narrazione di Penati non è l’ortodossia da manuale della ricetta. quanto il fatto che la ricetta è già stata messa alla prova della realtà senese: intensivamente, lungo gli ultimi quattro anni. A Rocca Salimbeni era stato appositamente chiamato come presidente Alessandro Profumo, simbolo europeo di Ceo di una grande banca public company: alla fine ha gettato la spugna, dopo la bocciatura della Bce all’inizio dell’Unione bancaria. “In questo paese chi cerca di sanare errori altrui viene insultato”, ha detto amaramente all’ultima assemblea. Sotto la presidenza Profumo il Monte ha lanciato due aumenti di capitale e ha raccolto in tutto 8 miliardi di mezzi freschi: oggi vale in Borsa meno dei tre dell’ultima tranche. La Fondazione Mps – irriducibile nel suo ruolo di ultima sentinella municipale dopo 540 anni – è stata infine emarginata nella proprietà e nella governance della banca: ma nessuno scommetterebbe un euro sul fatto che il “groviglio armonioso” attorno alla Rocca si sia minimamente allentato.
Surreale, ad esempio, la vicenda dell’avviso di garanzia giunto dalla Procura di Siena al presidente della Cariplo, Giuseppe Guzzetti su esposto del presidente della Fondazione Mps nel corso di un tentativo di riassetto della banca sollecitato da Tesoro e Bankitalia. Neppure il mercato, tuttavia, ha dato gran prova di sé nei tentativi di mettere in sicurezza Mps passando per il mercato. Nel luglio 2014 il titolo prende il volo salvo poi ricadere in fretta: e dei giganti internazionali che volteggiano su Siena (da York Capital a Blackrock) si perdono in fretta le scie. Assieme alla Fondazione rimangono due nomi non proprio di rango: uno è la messicana Fintech, già nota per il suo coinvolgimento nell’acquisto di Telecom Argentina da Telecom Italia. L’altro protagonista è la brasiliana BTG Pactual: ultimamente alle cronache per l’acquisto di Banca della Svizzera Italiana, seguito però subito dall’arresto del patron Andrè Estevez, in un’inchiesta per corruzione. Ma a Siena è già acqua passata: di pochi giorni fa invece è la cabrata del titolo Mps (da -40% a +30% nell’arco di una notte) segnata dalle dichiarazioni di Davide Serra, il finanziere piu vicino al premier Matteo Renzi. “Io le obbligazioni subordinate del Monte le compro”” ha detto a mercati aperti, spazzati dal panico.
A Siena, con buona pace di Penati, neppure il mercato ha funzionato: a meno che l’ex capo della Goldman Sachs in Italia, Massimo Tononi, oggi presidente di Mps, sfoderi qualche coniglio veramente grosso dal cappello. Altrimenti non resta che il commissariamento e la “soluzione Brrd”: la stessa usata nella vicina Arezzo. A meno che Renzi, Draghi, il governatore Visco e il ministro Padoan non riescano a convincere – con le buone o con le cattive – qualche buona vecchia Popolare o Fondazione.