Cinque mesi dopo le risoluzioni-disastro di Etruria, Marche & C. – con relativo “risparmio tradito” – il governo Renzi sbaglia ancora sul terreno delicatissimo della stabilità bancaria. Ed è questa la prima notizia: l’esecutivo – su un dossier-Paese, forse il più strategico – si è dimostrato incapace di imparare dalla propria stessa esperienza di governo. O peggio: appare sempre più avviluppato nei propri conflitti d’interesse (crisi delle banche toscane). Ancora: è sempre più debole e poco credibile in Europa, quindi perennemente in bilico fra timori da “libertà vigilata” e tentazioni di procedere per strappi e fatti compiuti. Comunque sia andata, il governo si muove (anzi: “persuade” gli altri a muoversi) quando ormai i buoi sembrano scappati. Quando l’aumento della Vicenza ha mostrato la sua drammatica irrealizzabilità mettendo a rischio perfino UniCredit. Quando il governo pone una grottesca “questione di fiducia nazionale” sulla fusione Bpm-Banco Popolare, ma obbligando il gruppo veronese a dichiarare un deficit patrimoniale di un miliardo.

La Borsa ha bocciato subito il piano Atlante, annunciato lunedì sera con l’obiettivo immediato di offrire un back stop ai crolli dei titoli bancari italiani al listino. Nel pomeriggio di ieri l’intero segmento bancario è stato nuovamente preso di mira in Piazza Affari, ritrascinando anzitutto sotto i 3 euro UniCredit: prima banca del Paese, finita nel mirino per aver dato segnali di nervosismo sulla garanzia dell’aumento di capitale della Popolare di Vicenza. Tutto quanto accaduto negli ultimi giorni – dal primo vertice a Palazzo Chigi martedì scorso fino al pre-accordo di lunedì sul fondo salva-banche – ha tratto origine da quell’emergenza. Che, a dispetto di tutti i summit e di tutti gli annunci, rimane tale: a ventiquattr’ore dall’assemblea annuale di UniCredit e a cinque giorni dall’inizio teorico dell’Ipo di Popolare Vicenza.

Il mercato non ha capito né gradito molte cose dell’iniziativa “di sistema” promossa dal Tesoro. Si è accorto anzitutto che Palazzo Chigi continuato a giocare “con i soldi degli altri”: delle banche, delle fondazioni e delle compagnie d’assicurazione nazionali, che avrebbero dovuto sottoscrivere gran parte del fondo da 3 a 6 miliardi chiamato a comprare una parte delle sofferemze creditizie (Npl) delle banche in difficoltà e a rilevare eventualmente parte degli aumenti di capitale “inoptati” dal mercato. Da un lato i mercati si attendevano più impegno da parte (fino al 49%)della Cassa depositi e prestiti,”la “banca postale” controllata dal Tesoro. Non che siano mancate le ragioni di questa cautela: col piccolo risparmio postale (diffuso fra milioni di italiani) è bene non scherzare mai troppo e poi le Poste (generatrici di raccolta Cdp) sono appena state privatizzate, anzi il Tesoro ne vuole collocare subito un’altra tranche.

Ma i lacci e lacciuoli a un’azione scoperta della Cdp sono stati posti anche dall’occhiuta attenzione dell’Ue sugli aiuti di Stato: venti settimane dopo le risoluzioni di novembre – costosissime per le banche italiane anche per la resa politico-diplomatica dell’Italia a Bruxelles – la Cdp è dovuta rimanere semi-nascosta a rischio di essere subito impallinata da Margrethe Verstager, la commissaria danese all’Antitrust Ue. La quale, peraltro, ieri, è stata gelida quasi quanto la Borsa; piano Atlante “non pervenuto”. Più duro ancora, peraltro, il Financial Times già lunedì in tempo reale.

La gazzetta della City ha tirato in ballo questioni antitrust (peraltro reali nel piano Atlante “tutti dentro”), comunicando in realtà il forte malumore di vari fondi Apollo o Fortress, già da settimane al lavoro su dossier come Carige o Pop. Vicenza, sull’acquisto delle banche risolte e fors’anche sull’osso durissimo di Mps. Il commercio di crediti o di banche intere andati a male è da anni “roba del mercato”, soprattutto dopo l’entrata in vigore delle norme europee sul bail-in. Ma perchè un governo “promuove” un veicolo di banche e fondazioni per acquistare sofferenze e/o ricapitalizzare banche “a prezzi di favore”? Lasci fare al mercato: forse l’Italia del 2005 non ha lasciato fare a Abn Amro su Antonveneta e a Bnp su Bnl? Forse non ha cacciato il proprio governatore “salva-banche” Antonio Fazio, chiamando trionfalmente Mario Draghi, oggi asceso alla Bce?

(Un fondo lanciato da Quaestio, il gestore di Fondazione Cariplo, verrà alla fine finanziato quasi interamente dalle grandi Fondazioni di Intesa Sanpaolo: quella guidata dal presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, da Compagnia San Paolo, Fondazione Padova-Rovigo, Bologna e Firenze. È la scialuppa di salvataggio di Mps, che da almeno dieci anni deve essere messo in sicurezza presso Intesa Sanpaolo? È questo il desiderio del premier fiorentino Renzi e della co-premier aretina Maria Elena Boschi, inguaiata nel caso Etruria? Non è scandoloso pensarlo: c’è pure un po’ di interesse pubblico in gioco. Ma forse è il caso di dirlo ai mercati. Che “hanno sempre ragione”: almeno così dicono nella City di Londra, dove scorazza Davide Serra, il finanziere amico del cuore di Renzi)