La Popolare di Vicenza decide oggi la forchetta di prezzo per il suo aumento di capitale: naturalmente salvo colpi di scena, che in questo caso sono già stati numerosi e violenti. Il più rilevante si chiama “Fondo Atlante”: il veicolo salva-banche, varato in tutta fretta lunedì scorso dal sistema banche-fondazioni sotto il pressing di Tesoro e Cassa e depositi e prestiti. Il detonatore dell’emergenza è stato proprio l’allarme di UniCredit, garante designato per la ricapitalizzazione da 1,7 miliardi, cui la Vicenza è obbligata dalla Bce.

“Il mercato è scettico, c’è il rischio che l’intera sottoscrizione ricada sulle nostre spalle e metta in pericolo i nostri parametri patrimoniali”, ha fatto sapere UniCredit un paio di settimane fa. Di qui l’iniziativa Atlante: lanciata principalmente per ricomprare le sofferenze creditizie tossiche (Npl) dai bilanci di molte banche del sistema; ma anche come “sottoscrittore di ultima istanza” se davvero l’aumento della Vicenza dovesse concludersi con quote inoptate. Ma cosa succederà davvero? Atlante diventerà – almeno nell’immediato – l’azionista di controllo della Popolare di Vicenza?

Fare previsioni, nello scenario bancario che si è venuto a creare, non è facile. Anzitutto la Consob non ha ancora dato il via libera al prospetto dell’offerta (che sarebbe dovuta partire oggi). Il presidente dell’Autorità di Borsa ha lanciato ripetuti segnali di cautela. Il caso Vicenza è stato finora un concentrato di cose che non hanno funzionato, a cominciare dalle azioni (non quotate) collocate ai clienti della stessa banca, facedoli in molti casi indebitare. Inoltre, il prezzo di vendita (62,5 euro) non era di mercato, ma convenzionalmente fissato sui valori di un bilancio che poi è stato più colte corretto al ribasso. Attualmente quel valore si è ridimensionato a 6,3 euro, ma neppure ora chi fra i 114mila soci della Vicenza volesse disfarsi dei suoi titoli riuscirebbe a rivenderli. Non certo alla Popolare, com’era prassi in passato. Non è un caso che voci insistenti prevedano la richiesta Consob di integrazione del prospetto con il bilancio trimestrale al 31 marzo: quindi con una base contabile il più aggiornata e attendibile possibile sulla quale il mercato possa valutare l’Ipo e il prezzo.

Il valore di 6,3 euro – fissato un paio di mesi fa per il recesso degli azionisti che rifiutassero la trasformazione già deliberata da cooperativa a Spa – sarà comunque in discussione per l’ultima volta nel consiglio d’amministrazione: prima che il valore della Popolare di Vicenza lo decida definitivamente la Borsa, subito dopo l’aumento. Quale intervallo di prezzi d’offerta sarà definito in vista del collocamento, in partenza nei prossimi giorni, al più tardi il 3 maggio?

Rilevante sarà il parere di Mediobanca, che è advisor della Vicenza. E anche i media del fine settimana, hanno fatto ri-circolare stime molto severe. Post-aumento di capitale la Vicenza varrebbe fra 1,1 e 1,6 miliardi, cioè meno dell’aumento. In concreto: il patrimonio della Vicenza sarebbe oggi pesantemente negativo e non sarebbe teoricamente lecito chiedere alcun prezzo per la sottoscrizione di nuove azioni. È stata nei fatti la domanda scarsa o addirittura nulla nella fase di pre-marketing a mettere in allarme UniCredit e a partorire Atlante. Ma a quale prezzo il fondo “di sistema” gestito da Questio (Fondazione Cariplo) rileverebbe in tutto o in parte la Vicenza?

Difficile che l’offerta possa essere formalmente lanciata a meno del valore nominale (1 euro). Qualche technicality legale o finanziaria dell’ultima ora potrebbe consentire forse la vendita a prezzi inferiori, ma la prospettiva sostanziale cambierebbe poco: chi sottoscrivesse le azioni anche a un prezzo estremamente scontato, correrebbe il rischio di vedere subito deprezzato il suo investimento al listino. E se l’investitore principale dovesse essere proprio Atlante comincerebbe subito a registrare perdite su mezzi forniti da banche, fondazioni, assicurazioni e Cdp. Investitori cui Atlante avrebbe invece promesso la protezione dei capitali e un rendimento annuo del 6%.

Atlante, fra l’altro, ha già preannunciato di voler realizzare i suoi investimenti principali (nelle sofferenze delle banche italiane) a valori di carico: cioè, senza applicare i forti sconti usuali sul mercato degli Npl, su cui operano decine di fondi specializzati. Ancora una volta sembra promettersi l’accollo di perdite più che la realizzazione di profitti. Cosa succederebbe, in ogni caso, se in seguito alla risposta della Borsa, Atlante si ritrovasse titolare di una partecipazione di controllo invendibile per il rischio-minusvalenza? E l’Antitrust Ue accetterà che una banca come la Popolare di Vicenza sia sotto il controllo indefinito di decine di altre banche e fondazioni? Senza contare che la Vicenza si ritroverebbe di fatto, sullo stesso piano delle quattro banche risolte lo scorso novembre (Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti): che il Fondo italiano di risoluzione – cui alla fine Atlante assomiglia molto – avrebbe dovuto rivendere entro aprile. Ma anche su questio fronte il mercato non ci sente: salvo le offerte di fondi come Apollo e Fortress, sdegnati tuttavia come “aguzzini”. E quando toccherà a Mps?