Rcs è orientato a scegliere UniCredit come defender contro l’Ops di Cairo Communication, appoggiata da Intesa Sanpaolo, In altri tempi – neppure troppo lontani – il tutto avrebbe fatto notizia e occupato gran spazio sui media. La cosa invece è scivolata quasi nelle brevi di cronaca in questo fine settimana di fine aprile 2016. Nessuno che si appassioni al possibile (forse probabile) cambio di proprietà del Corriere della Sera dopo più di trent’anni. È dal 1984 che via Solferino si regge su equilibri quasi personale fra vertici di Mediobanca (ma Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi sono scomparsi da tempo), la famiglia Agnelli (che ha però appena deciso una diversa partnership editoriale con Espresso-Repubblica) e Giovanni Bazoli, che sta peraltro concludendo il suo lungo regno su Intesa Sanpaolo. Ed è quasi un quarto di secolo, simmetricamente, che il quotidiano viene co-diretto da Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli, tuttora editorialisti-dioscuri del “reggente” Luciano Fontana, a lungo luogotenente di entrambi. Un “regime” che ha avuto ragione, undici anni fa, anche del tentativo di scalata di Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci e Giovanni Consorte all’epoca delle Opa bancarie: un assalto alla fine più impegnativo di quello da 250 milioni di euro “in carta Cairo”.



Hanno ragione gli osservatori – talvolta anche i protagonisti, come Diego Della Valle – a minimizzare con fastidio l’Ops sul Corriere: come se fosse un non-fatto, una drole de guerre, come l’inverno 1939-40 in Europa. Nessuno sembra aver voglia neppure di registrare che UniCredit (primo azionista di Mediobanca, a sua volta azionista storica e ancora rilevante di Rcs) si ritroverebbe a fronteggiare Intesa negli stessi giorni in cui si sta consumando un altro strano incontro-scontro: su Atlante, Popolare di Vicenza e i riassetti bancari in corso o in vista. Sì perché il veicolo salva-banche è tutto made in Intesa (Fondazione Cariplo, Fondazioni di Intesa, Cdp, Quaestio Sgr, ecc.) ed è stato costruito in tutta fretta per subentrare a UniCredit, che si sarebbe dovuto sobbarcare l’intera ricapitalizzazione della Vicenza. Ma il piano disegnato da Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, e da Carlo Messina, Ceo di Intesa, sotto gli sguardi attenti di palazzo Chigi e del Tesoro, ha tagliato fuori Mediobanca: storica “aggiusta-tutto” della finanza italiana, già attiva su molti dossier bancari del momento, a cominciare da Popolare di Vicenza.

UniCredit in campo con Mediobanca a difesa di Rcs contro Cairo-Intesa può segnalare un chiarimento, fra i due campioni nazionali: “Nemici come prima”, sul Corriere ora si fa su serio, ecc. ecc. O forse no: forse il silenzio stesso dei giornalisti e dei poligrafici del Corriere – che un tempo avrebbero giù brandito i leggendari “accordi del 1970” – indica che un’epoca volge al termine e non solo per il Corriere. Se Mediobanca vuol davvero reimporre in via Solferino il suo blasone dovrà comunque inventarsi qualcosa di adeguato: neppure l’ipotesi di fusione “nazional-confindustriale” con il Sole 24 Ore sembra adeguata all’esigenza di dare un futuro al Corriere (tanto meno l’aggregazione-clone con Class Editori, fatta filtrare nei giorni scorsi per rianimare un po’ l’aria morta di Piazza Affari). 

Giuseppe Vita – presidente di UniCredit ma anche della tedesca Springer – tornerà sui suoi passi dopo aver definito la media industry italiana e il Corriere troppo periferici? Oppure sarà Gerardo Braggiotti – nel cda Rcs in rappresentanza di molti – a trovare nella sua agenda parigina qualche cognome giusto?

Cairo, in fondo, si acconterebbe della Gazzetta dello Sport e si renderebbe presumibilmente disponibile a essere canale di qualche flusso finanziario utile a far quadrare il cerchio dell’indebitamento bancario di Rcs. Vedremo: a inizio degli anni ’80 o ancora nel 2005 attorno ai cambi di proprietà (reali o tentati) del Corriere si rimodellavano pezzi della storia del Paese.