La comparsata a sorpresa di Sergio Marchionne a “Crozza nel paese delle meraviglie” (La7, gruppo Cairo) è l’indizio finale di un armistizio in arrivo sul Corriere della Sera? In teoria la Fiat non è più azionista di Rcs: i titoli dell’ex “primo pacchetto” in via Solferino sono stati dispersi pochi giorni fa da Fca fra i suoi azionisti, in seguito al piano di fusione La Stampa-Repubblica. Non sempre, poi, il presidente del Lingotto Yaki Elkann (rimasto grande azionista di Rcs con il 6,4% nella holding Exor) ha sempre condiviso appieno le visioni del suo Ceo in campo editoriale.

È vero invece che nella spola continua fra Torino e Detroit Marchionne non ha mai deflettuto da una forte sintonia con il premier Matteo Renzi: il quale finora sull’offerta di Cairo Communication sul Corriere non si è mai pronunciato (certamente non contro). L’Ops del patron del Torino ha d’altronde subito registrato l’endorsement di Intesa Sanpaolo, in questo momento la “banca preferita da palazzo Chigi”, come ha confermato anche l’operazione “salva banche” via Atlante. Non ha quindi sorpreso che Mediobanca, a metà settimana, abbia dichiarato una sostanziale “desistenza” dal fronte del Corriere. O meglio: Alberto Nagel, Ceo di Piazzetta Cuccia, ha prospettato un sorta di armistizio su Rcs, anche se non privo di condizioni e presumibilmente in cambio di contropartite su alcuni tavoli di riassetto bancario.

Mediobanca, anzitutto, assieme ad altri grandi soci Rcs (Pirelli, Della Valle, UnipolSai) non aderirà all’offerta, anche se – almeno a oggi – non promuoverà o fiancheggerà controfferte. Cairo è stato dal canto suo lesto nell’abbassare al 35% la soglia di accettazione dei titoli oggetto di Ops. Nel frattempo gli ambienti finanziari hanno ventilato una certa distensione del fronte dei creditori bancari: ma questo sembra soffiare più nelle vele di Cairo che in quelle dell’attuale Ad Laura Cioli, che ha presentato una trimestrale nuovamente in rosso. Si è così attirata nuove critiche da parte di Cairo, che ha alzato nell’occasione il suo profilo di “editore professionale”, autocandidandosi alla guida operativa della “nuova Rcs”.

Lo scenario – peraltro non ancora al riparo di incognite o colpi di scena – appare quello di un “Corriere” dotato di un azionista-manager di riferimento. Non esattamente un nuovo “padrone”, quanto un personaggio “di svolta” che consentirebbe anzitutto alle banche (Intesa in primis) di concedere una proroga più credibile alle linee di finanziamento. Ma in fondo anche gli azionisti meno entusiasti dell’operazione Cairo-Intesa possono preferire, nell’immediato, uno “strappetto” potenzialmente benefico a un titolo estremamente depresso in Borsa. 

E Cairo promette, alla fine, di rimboccarsi lui le maniche per smontare e rimontare la macchina molto arrugginita di via Solferino: finora nessun top manager indicato dal “salotto” è mai riuscito a tagliare i costi e rilanciare davvero il Corriere nella media industry digitale. E farlo è una priorità assoluta: fosse anche con il solo obiettivo di rimetterlo un po’ in sesto in vista di un’aggregazione interna o di un’alleanza internazionale.