La nuova fase di assestamento del capitalismo bancario nazionale accelera. Con sviluppi in parte prevedibili, in parte inediti: come nel caso di Ubi Banca, che risale sulla ribalta finanziaria con il suo sì al rifinanziamento di Rcs (in appoggio apparente alla contro-Opa di Mediobanca-Bonomi sul Corriere contro l’Ops di Cairo-Intesa Sanpaolo) e lasciando correre le voci di un suo possibile intervento nel salvataggio di Veneto Banca.
Ubi Banca, oggi terzo gruppo italiano alle spalle di UniCredit e Intesa Sanpaolo, è balzata alle cronache in autunno: prima grande Popolare a trasformarsi in Spa, aderendo alla riforma. Le prime conseguenze – non traumatiche – si sono viste all’assemblea annuale di inizio aprile: la lista degli investitori istituzionali ha prevalso su quella dei soci privati bergamaschi e bresciani, “padroni” del gruppo fino a quando era strutturato in cooperativa (una testa, un voto). Il cda, tuttavia, è risultato rinnovato all’insegna della continuità: con l’industriale orobico Andrea Moltrasio confermato alla presidenza del consiglio di sorveglianza, assieme ad altri figure già presenti nella governance della “vecchia Ubi”. Fra queste anche Francesca Bazoli, figlia di Giovanni, fino a qualche giorno fa presidente di Intesa Sanpaolo.
Nel Cds di Ubi sono comunque entrati tre rappresentanti degli investitori istituzionali, dichiaratamente nel ruolo di “minoranza”: ancorché forti del 51% dei voti assembleari. E una discontinuità maggiore si è registrata pochi giorni dopo, quando il Cds ha designato il Consiglio di gestione, essendo la governance Ubi ancora organizzata secondo un modello “duale”. Alla presidenza del Cdg – cui risponde direttamente l’amministratore delegato Victor Massiah – è stata chiamata Letizia Moratti: ex sindaco di Milano, ex ministro, ex presidente della Rai, sempre saldamente nel campo del centrodestra berlusconiano. Un profilo totalmente adeguato alla guida di una grande public company bancaria – fra l’altro Moratti è stata in passato broker assicurativo e presidente dell’associazione nazionale del settore – ma certamente non del tutto omogeneo al background storico della Popolare di Bergamo e della Banca Lombarda, i due pilastri di Ubi Banca. Un humus politico-finanziario tradizionalmente vicino alle posizioni cattolico-democratiche di Bazoli e non immediatamente contiguo al grande capitalismo nazionale e semmai in sintonia con Intesa Sanpaolo.
Ora la “nuova Ubi” – ne ha dato notizia Il Sole 24 Ore di sabato – si è affiancata a Mediobanca e UniCredit nel via libera al rifinanziamento del debito Rcs. La notizia è stata contemporanea a un sostanziale pronunciamento del cda Rcs a favore della contro-Opa lanciata dal finanziere Andrea Bonomi e da Mediobanca rispetto all’Ops avanzata da Cairo Communication con l’aperto appoggio di Banca Imi (Intesa Sanpaolo). Quindi: mentre Bazoli invita a considerare “non finita” la partita Rcs, Ubi mostra invece di volerla “finire qui” con la contromossa di Mediobanca a sostegno del management del Corriere della Sera.
Ma anche i rumor sul possibile interesse di Ubi per Veneto Banca – forse in tandem con Bper – non è affatto banale. L’indiscrezione segue di pochi giorni la nuova manifestazione di disponibilità di Mediobanca per un intervento su Veneto Banca che eviti un soccorso-bis da parte di Atlante, gemello di quello realizzato su Popolare di Vicenza. Quest’ultima emergenza è stata risolta da Atlante (scialuppa di fatto costruita in fretta da Intesa, dalle sue Fondazioni e dalla Cassa depositi e prestiti) per ovviare alla ritirata di UniCredit dalla garanzia sulla ricapitalizzazione da 1,5 miliardi.
Veneto Banca deve ora raccogliere un miliardo sul mercato entro un mese: l’operazione è formalmente garantita da Intesa Sanpaolo, la quale tuttavia ha già fatto sapere di non volersi far carico di partecipazioni nella banca di Montebelluna. È peraltro evidente che sarebbe sgradito anche un secondo intervento di Atlante: l’operazione assorbirebbe un’altra parte notevole dei 4,2 miliardi raccolti e vedrebbe ridursi ulteriormente i mezzi per intervenire sulla missione principale del fondo (riacquistare e snaltire le sofferenze creditizie delle banche italiane).
Pochi giorni fa, anche il Sussidiario ha accreditato l’ipotesi di uno scambio fra “partito Mediobanca-UniCredit” e “partito Intesa Sanpaolo-Acri”: con un via libera (parziale) a Cairo Communication in Rcs in contropartita a spazi di manovra lasciati a Mediobanca su Veneto Banca e altri riassetti bancari. Ma le situazioni sono evidentemente ancora in progress: e la comparsa in scena – anche solo a livello di rumor – di Bper è tutt’altro che irrilevante. Tradizionalmente contigua a Mediobanca, Bper è nel raggio territoriale di Unipolsai. E la compagnia assicurativa della Lega coop è certamente a fianco di Mediobanca su Rcs; è pronta ad agire sul riassetto delle Popolari (a partire dal piano Bpm-Banco Popolare, in portafoglio a Mediobanca); ed è guidata da quel Carlo Cimbri, il cui nome ricorre da qualche giorno come possibile successore di Federico Ghizzoni come amministratore delegato di UniCredit.