Il congelamento della quotazione in Borsa della Banca Popolare di Vicenza – almeno per ora – era nell’ordine delle cose: come del resto molto, quasi tutto nelle ultime quattro settimane. L’allarme rosso attivato da UniCredit sulla realizzabilità dell’aumento di capitale da 1,5 miliardi – allerta già di per sé non sorprendente – ha aperto forzatamente il cantiere di Atlante: la cui costruzione a tempo di record è stata un successo in sé del sistema bancario italiano, con una menzione particolare per l’esperienza del presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti. Ma era inevitabile che la nascita di un “fondo nazionale salvabanche” segnasse anche una sorta di auto-ammissione che la Popolare di Vicenza era una banca “da salvare” e che attorno alla sua Ipo governo e sistema vedevano chiaramente addensarsi un’emergenza “nazionale”. Tutto fuorché un magnete per investimenti di mercato.

Quanto è accaduto poi non ha fatto che “auto-avverare” ogni premessa: a cominciare dalla certificazione – anche’essa poco evitabile – da parte del cda della Popolare e dei suoi advisor sul valore (formalmente minimo, giocoforza effettivo) della nuova azione: non superiore a 10 centesimi, cioè virtualmente nullo. Difficile stupirsi che il book vuoto di prenotazioni che aveva preoccupato UniCredit sia rimasto tale anche durante l’offerta: senza risposte né dal “popolo della Vicenza” (114mila soci colpiti dall’azzeramento dei loro investimenti), né dai mercati internazionali, praticamente gelati dal flusso di notizie sulle condizioni della banca. Ultimo passo maturato ieri, la non quotabilità rilevata da Borsa italiana: una valutazione tecnica (dettata dall’assenza di flottante reale per il titolo, per oltre il 99% in mano ad Atlante) che tuttavia sembra aver incrociato anche i probabili desiderata di Atlante. Il rischio che domani – primo giorno di quotazione ipotizzato per la nuova popolare di Vicenza Spa – Atlante registrasse subito decine o centinaia di milioni di perdita era consistente: tanto più dopo che ieri l’intero segmento bancario di Piazza Affari aveva cominciato a franare fin dal mattino. Un altro circolo vizioso difficilmente contrastabile, dopo la presentazione ufficiale del fondo salvabanche, venerdì scorso.

In quell’occasione i responsabili del nuovo hedge fund pomosso da Quaestio Sgr, fra 67 banche, assicurazioni e fondazioni sotto gli auspici del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non avevano potuto che confermare la reale funzione del fondo, almeno nell’immediato: garantire/sottoscrivere (per il 70% dei 4 miliardi raccolti) gli aumenti di capitale di Popolare Vicenza, Veneto banca e prevedibilmente di altri gruppi nazionali. La strategia di bad bank per le sofferenze creditizie (Npl) delle banche italiane – strategia che aveva raccolto subito buoni consensi internazionali – è stata nei fatti posposta di almeno 18 mesi. Ancora una volta il mercato è stato deluso da annunci e da decisioni che avevano il fine di rassicurarlo e che nei fatti hanno comunque messo in sicurezza la decima banca italiana sull’orlo del bail-in.

E ora? Oltreché soddisfare le richieste della supervisione Bce, Atlante ha evitato che un dissesto della Vicenza mettesse sul lastrico altri portatori di obbligazioni subordinate: con ulteriori perdite reali e di fiducia per il risparmio privato italiano; e ulteriori pressioni per rimborsi pubblici. Non è poco rispetto al disastro di novembre attorno ad Etruria & C. Però è pressocché l’unica differenza rispetto a quelle “risoluzioni”. Cancellata la quotazione della Vicenza, Atlante non è troppo diverso dal Fondo di risoluzione cui la Ue ha appena dato qualche mese ancora per disfarsi delle quattro banche risolte.

Entrambi i veicoli sono stati finanziati “volontariamente” dal sistema bancario (allargato in Atlante ad assicurazioni, Fondazioni e Cdp). A differenza di quello pilotato da Roberto Nicastro, l’hedge fund guidato da Alessandro Penati dovrà in teoria remunerare i suoi investitori. Il primo deve vendere banche giù “ripulite” degli Npl. Il secondo si ritrova padrone di una banca ancora “ricca” di sofferenze: un materiale che potrebbe tuttora far gola a fondi internazionali come Apollo e Fortress, potenzialmente disponibili a farsi carico di una parte dell’investimento-ponte tuttora sulle spalle di Atlante. What next, “cosa accadrà adesso”, sarà probabilmente scritto su questo canovaccio.

Forse il coinvolgimento di investitori istituzionali globali avrebbe potuto essere scritto da subito: ma il senno di poi – sommate anche le incomprensioni fra Atlante (molto legato a Intesa Sanpaolo e alle sue Fondazioni) e Mediobanca – è inservibile anche sui mercati finanziari. Dove ogni giorno è nuovo. Atlante ricomincia da 1,5 miliardi nel 99% della Popolare di Vicenza, al momento non liquidabile in Borsa. Su cosa fare di questa partecipazione, il professor Penati si è comunque mostrato tutt’altro che in ansia: “Posso prenderla, posso venderla, posso fonderla, posso spacchettarla, posso fare una nuova Ipo magari a un prezzo più alto, posso fare una scissione degli Npl magari con qualche altra banca. Le possibilità sono tante. La cosa importante è che finalmente possiamo operare senza avere dietro alcun interesse particolare o locale che condizioni questa operazione. Dobbiamo rispondere soltanto agli investitori e la cosa importante è che gli investitori del fondo devono uscire da questa storia con un utile il prima possibile”. Ha diritto agli auguri di buon lavoro, perché non sarà affatto facile.