Cairo Communication ha rilanciato la sua offerta di scambio su Rcs, ma di poco e senza introdurre neppure un briciolo di cassa: solo modificando il piano industriale con l’accelerazione della fusione finale fra scalatrice e scalata. In virtuale contemporanea, il cda della stessa Rcs ha emesso un giudizio positivo sulla contro-Opa guidata da Investindustrial e appoggiata da Mediobanca, valutando però il prezzo “non congruo”. Il mercato, nel frattempo, ha tenuto venerdì il prezzo dell’editoriale del Corriere della Sera (0,781 euro) sopra le valorizzazioni implicite in entrambe le offerte: 0,69 nell’offerta rilanciata di Urbano Cairo (sostenuto da Intesa Sanpaolo, essa pure azionista di Rcs), 0,70 in quella ancora rilanciabile di Andrea Bonomi e dai suoi partners, fra i quali quattro altri soci Rcs (Mediobanca, Unipol, Pirelli e Della Valle).

Non sembra fuori luogo archiviare quanto è accaduto come un momento di passaggio: un “finto rilancio” di Cairo unito a un cda Rcs che – dopo aver pronunciato un primo no secco al patron del Torino e di La7 -sembra ora chiedere alla cordata Bonomi-Mediobanca un ritocco al prezzo per dare il sì definitivo. Tanto più che ciò è accaduto quarantott’ore prima di un’attesa domenica elettorale e sei giorni prima di un referendum Brexit, peraltro un po’ meno preoccupante dopo il tragico assassinio della deputata Jo Cox.

Il bollettino di venerdì sul fronte Rcs, nondimeno, è parso confermare le tesi di coloro che giudicano la partita assai poco di mercato: a dispetto di ben due offerte pubbliche d’acquisto. Quest’ultime, d’altronde, sono giunte dai due fronti contrapposti dell’azionariato Rcs: e, per molti versi, sembrano continuare “con altri mezzi” gli anni di inquieta e dispendiosa convivenza nel salotto (o ex salotto) di via Solferino.

Non diversamente dal passato, Rcs è teatro di una guerra parallela o virtuale: oggi, verosimilmente, quella finanziaria fra Intesa Sanpaolo e Mediobanca (UniCredit), a sua volta simmetrica quella editoriale fra il nuovo raggruppamnto “Repubblica-Stampa” e altri poli rimasti indietro e in difficoltà (oltre a Rcs, il confindustriale Sole 24 Ore, Caltagirone e Poligrafici), mentre la vicenda personale di Silvio Berlusconi sembra accelerare svolte in Mondadori e Mediaset e quindi il superamento di vecchi equilibri nell’industria media. Sullo sfondo di tutto c’è il congestionamento del quadro politico, in chiave di polarizzazione (pro o contro Renzi) fra ballottaggi nelle grandi città e referendum sulle riforme. E non c’è dubbio che la nuova “Stampubblica” appaia già fortemente posizionata a difesa del progetto renziano.

Questo sottolineato, la partita come può svilupparsi? Un segnale giunto negli ultimi giorni dal campo di Cairo – il possibile intervento di Infront – è parso indicare che l’ipotesi di una spartizione resta sul tavolo (forse per ora nascosta sotto al tavolo). Il profilo del “grande fratello” mondiale del marketing e del calcio televisivo (ora controllato dalla cinese Wanda) sembra infatti congruente con la motivazione industriale attribuita direttamente a Cairo: crescere nel business dello sport mediatico attraverso l’acquisizione della Gazzetta dello Sport e dei business connessi (ad esempio, la gestione del Giro d’Italia).

L’interessamente cinese – per ora solo ventilato – maturerebbe contemporaneamente allo sbarco in forze di Pechino nel calcio italiano (Inter e probabilmente Milan). Il Corriere passerebbe dunque definitivamente al “partito Mediobanca”? Investindustrial si è già detta disponibile a una ricapitalizzazione del gruppo: il casus-belli che ha formalmente spinto all’attacco Cairo su Rcs, spalleggiato dal creditore Intesa. Un Corriere “single” potrebbe in ogni caso muoversi più a tutto campo su uno scacchiere a più strati: mediatico, finanziario, politico.