A Rcs finisce un’epoca – quella del co-dominio trentennale fra la famiglia Agnelli e Mediobanca – e inizia l’era di Urbano Cairo, sponsorizzato da Intesa Sanpaolo. È certamente la notizia più rilevante – per la media industry italiana – di un mese che si concluderà con la formalizzazione della fusione fra Espresso-Repubblica e Stampa. L’avvento nella proprietà del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport di un imprenditore editoriale già a capo di un polo televisivo nazionale come La7 appare il dato più significativo: come evolverà il confronto fra i due nuovi “campioni nazionali”, uno dotato di tv, l’altro no? Quale sarà l’impatto sull’ormai logoro tripolio televisivo, Rai-Mediaset-Sky? Quali i sommovimenti più larghi sullo scacchiere della banda larga, teatro del duello fra Telecom “francese” ed Enel “italiana”?

Ma i segnali di un’accelerazione – peraltro attesa – della ristrutturazione dell’editoria giornalistica nazionale sono quotidiani e disparati. Il Sole 24 Ore ha deciso di rinviare a settembre l’approvazione del consuntivo semestrale. Il congelamento della comunicazione finanziaria periodica obbligatoria ai mercati è sicuramente un passo non banale per una grande società quotata e tuttora controllata dalla Confederazione degli industriali italiani. L’assestamento dei conti sarà comunque abbinato a un nuovo piano strategico cui sta già lavorando il nuovo amministratore delegato Gabriele del Torchio, chiamato a invertire la rotta del gruppo dopo sei bilanci in rosso (a bruciare quasi l’intero incasso dell’Ipo del 2006) e cinque anni di sussidi pubblici a un contratto di solidarietà.

Del Torchio per il Sole ha prospettato una parabola stand alone, lontano dalle aggregazioni (a cominciare da Rcs). Ma possono essere escluse ricapitalizzazioni strategiche? In ipotesi successive: con l’ingresso di un gruppo editoriale estero; con il rilancio degli investitori “perdenti” in Rcs; con lo studio di combinazioni sinergiche con altri editori “confindustriali” (Caltagirone, Poligrafici, Athesis, ecc.). Entro l’autunno, in ogni caso, l’Ads ha preannunciato il varo di nuove regole per il calcolo corretto delle cosiddette “copie digitali multiple” nelle statistiche diffusionali mensili: proprio Il Sole 24 Ore ha visto tagliata di oltre 100mila copie la sua diffusione, dopo che il cda di Ads ha sospeso l’inclusione delle “digitali multiple” in seguito a un contenzioso italiano fra i gruppi Condé Nast e Hearst. Lo scontro ha riguardato l’uso controverso di grandi acquirenti (rivenditori o grandi gruppi industriali o finanziari) per alimentare la diffusione ufficiale a quindi l’appetibilità pubblicitaria dei prodotti. Il Sole 24 Ore ha naturalmente preannunciato battaglia. Ma per ora il gruppo oggi presieduto da Giorgio Squinzi non ha strappato la corda: né in Ads, né in Fieg.

Qui Il Gruppo 24 Ore avrebbe potuto battere le orme fresche della clamorosa rottura maturata fra il gruppo Caltagirone e la Federazione degli editori italiani di giornali.  Rottura su un terreno strutturale: la riorganizzazione hard di una parte dei processi produttivi, con la sostanziale adozione della “formula Pomigliano” (trasferimento di fasi produttive e personale a nuove società e relativa gestione esuberi). La Fieg – guidata dall’attuale presidente di Rcs, Maurizio Costa (ex Mondadori) – ha tentato invano di frenare le mosse dell’editore di Messaggero, Mattino e Gazzettino, chiaramente orientato a portare la logica della ristrutturazione pesante nell’ambito del lavoro giornalistico. Laddove, tuttavia, la stessa Fieg sembra tutt’altro che morbida, al tavolo del rinnovo del contratto nazionale di lavoro, già ai tempi supplementari, dopo formale disdetta da parte degli editori.

Non sorprende che proprio in questi giorni una sigla sindacale della Fnsi abbia dato pubblicità a una “bozza di contratto nazionale”. In quest’ultima spiccano tre ipotesi di svolta per il lavoro giornalistico. La prima è un maggior spazio effettivo alla flessibilità organizzativa: l’emergere più netto dei profili di “collaboratore” e “corrispondente” sembra rispondere in modo poco equivocabile alle volontà-necessità da parte degli editori di esternalizzare una parte più importante della produzione di contenuti, con il fine tendenziale di “asciugare” le strutture redazionali composte da giornalisti dipendenti full.

Una seconda ipotesi di lavoro chiaramente in discussione al tavolo Fieg-Fnsi è la profilazione definita di figure professionali legate al web. Naturalmente è ancora presto per capire quale sarà l’esito finale di questa dinamica contrattuale. Ma è evidente la dialettica sostanziale fra il sindacato dei giornalisti e gli editori. Il primo punta a contrattualizzare e sindacalizzare (anche negli istituti di categoria Casagit e Inpgi) le migliaia di “nuovi invisibili” del giornalismo web. Gli editori, dal canto loro, guardano con potenziale favore all’emergere contrattuale dei giornalisti web in chiave di abbassamento del costo del lavoro: di pressione per allineare i trattamenti retributivi al “mercato” (cioè ai compensi presso testate e portali web, molto inferiori ai “pacchetti” dei giornalisti delle testate tradizionali, spesso comprensivi di auto e tablet).

Terzo e non ultimo: un’ipotesi di emendamento al contratto nazionale prevede, nei fatti, la possibilità di trasformare i rapporti di lavoro in essere da “articolo 1” ad “articolo 2”. In concreto è evidente l’intento (anzitutto degli editori, ma forse in parte anche del sindacato) di gestire il problema drammatico dei giornalisti “over 50”: i veri esuberi del settore (sempre più costosi , sempre meno produttivi e soprattutto inamovibili). Il passaggio da un ambito consolidato all’altro del rapporto di lavoro a tempo indeterminato appare in effetti il percorso elementare per imporre agli “over 50” un abbassamento strutturale del costo offrendo in cambio il mantenimento delle tutele. Ciò consentirebbe fra l’altro la riattivazione dei flussi d’ingresso nella professione giornalistica, naturalmente a condizioni d’accesso diverse, allineate con il Jobs Act.

Un trend di allineamento è quello che si disegna anche per l’uscita dei giornalisti “pensionandi”. Anche su questo versante non è passata inosservata – in questo luglio 2016 – una presa di posizione di Ernesto Auci: oggi editore di FirstOnline, un lungo passato di giornalista e manager (fra l’altro direttore e poi amministratore delegato del Sole 24 Ore). Auci ha lanciato l’allarme sulla stabilità dell’Inpgi e ha chiesto una manovra drastica: una vera riforma pensionistica “in stile Fornero” (peraltro sollecitata all’Inpgi anche dal ministero del Lavoro), ma anche la cessazione dei sempre più estesi interventi a carico dell’Inpgi in campo assistenziale (cassa integrazione e contratti di solidarietà).

In pratica, Auci ha prospettato l’abolizione della pensioni giornalistiche di anzianità (fra 57 a 62 anni con penalizzazioni) e l’allineamento dell’Inpgi ai “requisiti Fornero” di età e contribuzione per le pensioni Inps, con gli eventuali correttivi di flessibilità in uscita tuttora allo studio da parte del governo (se accostiamo la “bozza di contratto nazionale” all'”ipotesi Auci”, per un giornalista 55enne si prospetta una decurtazione immediata di trattamento retributivo e l’accesso alla pensione solo dopo una decina d’anni, oppure in anticipo ma con penalizzazione).

Naturalmente, in queste settimane per molti versi accaldate, sembra accelerare in Parlamento l’iter di un “decreto editoria” da sempre intestato a Luca Lotti, braccio sinistro del premier Matteo Renzi. È un provvedimento che – in sintesi brutale – dovrebbe iniettare provvidenze pubbliche nell’editoria gionalistica nazionale: anzitutto quelle destinate a prepensionare centinaia di giornalisti in esubero un po’ ovunque. Sarà curioso vedere quanti e quali sussidi arriveranno, a chi e soprattutto quando: cioè prima o dopo il “referendum Renzi”. Oppure anche mai.