Il XXI Rapporto dell’Acri è al solito completo di dati sulla situazione delle 88 Fondazioni italiane. E ha fatto bene il presidente Giuseppe Guzzetti (da poco riconfermato per un triennio alla guida dell’associazione) ad aggiornare puntualmente il monte erogazioni a partire dal 2000: 19,3 miliardi dopo l’ultimo esercizio (ma sono 21,2 con gli impegni futuri giù assunti), di cui 8,3 miliardi nel periodo 2008-2014, nel pieno delle turbolenze economico-finanziarie. Né è un caso che il consuntivo annuale di settore sia stata accompagnato dall’esito di una nuova iniziativa Acri a favore dei migranti, mentre le Fondazioni – con uno stanziamento collettivo di 120 milioni – sono il pilastro del piano anti-povertà appena annunciato dal governo.
Certamente il rapporto non può dar conto di quanto accaduto dopo il 31 dicembre 2015: cioè anzitutto dei contraccolpi della nuova crisi bancaria ai patrimoni delle Fondazioni (40,8 miliardi il netto aggregato di bilancio, 48,6 miliardi il totale attivo). La sofferenza in Borsa di alcune grandi banche partecipate dalle Fondazioni (UniCredit su tutte) ha eroso molti valori patrimoniali correnti. D’altro canto proprio le Fondazioni dell’Acri hanno fatto da piattaforma ad Atlante, il fondo salva-banche da 4,2 miliardi creato a tempo di record per garantire le ricapitalizzazioni-salvataggio di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Atlante – gestito da Quaestio, la Sgr della Fondazione-capofila Cariplo – è ora chiamato a intervenire su Mps, in particolare sullo smaltimento urgente di 10 miliardi di sofferenze creditizie richiesto dalla Bce.
La svolta impressa dalla crisi bancaria rischia di farsi ancora più drammatica: ad appena un anno dalla sigla del Patto fra Acri e ministero dell’Economia, che aveva sancito un’accelerazione tendenziale dello sganciamento delle Fondazioni dalle banche. Ora invece gli enti sono tornati a un impegno molto forte, per di più attraverso un veicolo di sistema cui partecipano le banche meno in difficoltà e altri investitori istituzionali. Fra questi, non certo ultima, la Cassa depositi e prestiti, al cui capitale partecipano ancora una trentina di Fondazioni: consentendo alla Cdp di non essere considerata un soggetto totalmente statale. Il nuovo intreccio fra Fondazioni, Cdp (impegnata su altri fronti critici come Saipem e Ilva) e banche è sicuramente un capitolo ancora solo abbozzato e che il Rapporto 2016 dovrà analizzare con categorie nuove.
In parallelo anche il tema sempre d’attualità della governance delle Fondazioni sta conoscendo sviluppi solo in parte attesi. L’autoriforma del 2015 – a perfezionamento di un cammino avviato dalle Fondazioni con la Carta di Palermo del 2012 – aveva consolidato un ventaglio di standard di separazione a monte e a valle fra gli enti e il mondo della politica, principalmente quella locale. Le polemiche innescate dal nuovo sindaco di Torino Chiara Appendino (M5S) contro la nomina del presidente della Compagnia San Paolo da parte del sindaco uscente in campagna elettorale, hanno rimesso in tensione il delicato diaframma fra enti locali e Fondazioni.
D’altro canto proprio la crisi bancaria (a cominciare da quella di Mps, ma senza dimenticare Carige, Banca Marche, CariFerrara e CariChietii) ha appannato ormai da anni l’immagine delle Fondazioni come azioniste-presidio delle grandi banche, rilanciando un dibattito che sembrava aver perso consistenza dopo le sentenze della Corte Costituzionale del 2003. Sembra nel frattempo sempre meno teorica l’ipotesi di fusioni fra Fondazioni: soprattutto fra enti che hanno subito perdite patrimoniali o che mostrano ormai dimensioni troppo esigue per assicurare una gestione effettiva dells strategie istituzionali sui territori.