C’è una banca – il Monte dei Paschi di Siena – che dopo due aumenti di capitale per complessivi 8 miliardi ha un capitale sociale contabile di 9 e tuttavia la Borsa le assegna un valore di poco superiore a 1. Pesa il nuovo alert della Bce, che già aveva crocifisso nell’autunno 2014 come “peggior banca d’Europa” nello stress test di debutto dell’Unione bancaria, nell’ottobre 2014. Oggi le opinioni su quale sia la “pecora nera” dell’eurozona cominciano a farsi meno univoche: alla Fed americana, ad esempio, la Deutsche Bank carica di derivati (20 volte il Pil tedesco) è il punto di rischio più alto, cosa che i mercati hanno mostrato di credere, martellando il titolo del 30% la scorsa settimana.
La Bce, nel frattempo, tiene nel mirino Mps, a sua volta bersagliato dalla Borsa (ieri -13% a valori ormai frazionali). Nella nuova telenovela bancaria Italia-Europa, si è appreso ieri che Francoforte già pochi giorni prima di Brexit aveva avvertito Siena che il suo livello di sofferenze è considerato insostenibile e che è urgente varare un piani triennale di smaltimento di almeno 10 miliardi di Npl e probabilmente una nuova ripatrimonializzazione.
Hanno assunto così un’altra luce altri brani di ordinaria ordalia bancaria degli ultimi giorni: la smentita di ieri mattina di palazzo Chigi al Financial Times che prospettava “azioni unilaterali” del governo italiano per mettere in sicurezza le sue banche anche in violazione della nuova normativa europea Brrd (“bail in”). Sempre ieri sera la Ue ha occhiutamente apprezzato la precisazione di Roma, peraltro giunta giù domenica in tv quando il premier Renzi aveva detto di preferire per il Monte una “soluzione di mercato” (ripetendo tuttavia di voler salvare almeno “tutti i correntisti”, apparentemente anche al di sopra dei 100mila euro). Ma ciò è arrivato dopo che per giorni e giorni cancellerie e mercati avevano assistito a uno strano balletto: la richiesta (semi-segreta) dell’Italia di poter varare un piano “salva-banche” subito dopo i crolli di Borsa post-Brexit, la concessione di un canale di liquidità da parte di Bruxelles (segreta fino a giovedì e rivelata da Wall Street), i giornali italiani pieno di voci disparate su aiuti pubblici in arrivo per le banche italiane, le mezze conferme e le mezze smentite, il malumore di Berlino (istituzionale quello di Angela Merkel, politico quello di Wolfgang Schauble), fino al triste comunicato di Rocca Salimbeni ieri, la conferma di voler e dover affrontare di nuovo il mare in tempesta entro luglio.
Non è facile – come quasi sempre attorno al Monte dei Paschi – distinguere fra finanza, politica, diplomazia e financo cronaca giudiziaria o nera. Perché proprio negli ultimi giorni è tornata d’attualità l’inchiesta sulla morte tragica e misteriosa di David Rossi, ex capo della comunicazione di Mps? Perché proprio ieri sera, nel clima pesante della direzione Pd, Matteo Renzi avrebbe citato Mario Draghi (ok a Mps-Antonveneta) e Carlo Azeglio Ciampi (riformatore delle Fondazioni) come corresponsabili dei dissesti bancari odierni? Perché lo stesso Renzi, domenica in tv, ha usato accenti quasi minacciosi verso Massimo D’Alema, il vecchio ras dei Ds quando il Mps era banca di strettissima osservanza?
Perché su alcuni media hanno ripreso vigore le voci di fari investigativi su Davide Serra, il finanziere-amico del premier che ha fatto a tempo a dirsi compratorre di bon subordinati di Mps? Sono i titoli per i quali il governo italiano si sarebbe battuto per ottenere un’esenzione straordinaria dalla scure del “bail in”. E la “soluzione di mercato” auspicata infine da Renzi? È una virata precipitosa davanti all’ennesimo nein tedesco ad aiuti statali? In alternativa potrebbe chiamare in campo – si è detto – un Atlante-2: un’altra colletta obbligatoria, forse più al rubinetto della Cassa depositi e prestiti. O forse ancora guarda a Lorenzo Bini Smaghi: l’ex membro italiano dell’esecutivo Bce ha oggi il cappello di presidente del consiglio di sorveglianza SocGen e quello di presidente della nuova Bcc Spa del Chianti. Minuscola quest’ultima, ma non al punto da non essere considerata un possibile “veicolo” quanto meno per comprare Nuova Banca Etruria dal Fondo italiano di risoluzione.
Chissà quando il Monte – fallito e risorto già molte volte dal 1472 – cesserà di far cattiva cronaca. Un premier toscano – per quanto acerrimamente fiorentino – continua a non sembrare il “problem solver” adatto.