“Lunch with the FT” è il massimo dello snob sul quotidiano della City. La terza pagina del supplemento Weekend è riservata a un’intervista-colloquio con un personaggio con cui i lettori cosmopoliti del Financial Times uscirebbero volentieri a pranzo il sabato o la domenica, a conversare di quello che succede in giro. Un’ancor giovane Angela Merkel o un’ormai matura Angelina Jolie; Carlo Ancelotti oppure Bill Gates: tutti i global Vip si ritrovano prima o poi a tavola da FT. Con un solo impegno vezzoso: lasciar pubblicare il nome del ristorante, l’ordinazione, il conto. Sushi a Oslo, Brunello a Hong Kong, due espressi e acqua minerale in una cafeteria della Silicon Valley.
Gli ultimi due Lunch sono stati un po’ particolari. Sabato scorso Edward Snowden, room service in un hotel moscovita. Sette giorni prima Nick Denton, al SantAmbroeus, italiano di SoHo, a New York. Snowden, gemello di Julian Assange, è una celebrity geopolitica: eroe della Rete libera e democratica oppure traditore del suo Paese a vantaggio di Vladimir Putin È il whistleblower della Cia e della National Security Agency: l’informatico che quattro anni svelò molti programmi di sorveglianza tecnologica di massa utilizzati dalle autorità di Usa e Gran Bretagna. Da allora è a Mosca, non è chiaro con quale status reale: certamente, comunque, è ricercato dagli Stati Uniti con pesanti accuse di spionaggio.
Di questo naturalmente parla durante il suo Lunch with the FT, pochi giorni dopo che il suo nome è stato associato all’hackeraggio del partito democratico americano durante la convention che ha designato Hillary Clinton candidata alla presidenza. Snowden ha negato di essere stato coinvolto nell’operazione, divenuta cavallo di battaglia della campagna per la Casa Bianca: con i timori democratici di possibili brogli elettronici pilotati da Putin o di bombe mediatiche anti-Clinton in arrivo da Mosca grazie a Snowden. Il quale non è stato deciso nel negare che l’attacco informatico sia stato effettivamente condotto da hacker russi. È stato invece netto nel prevedere che se a novembre vincerà Donald Trump per lui le porte del ritorno a casa rimarranno sbarrate. E se vincerà Hillary? “Beh, vedremo.”.
Snowden dice di continuare a lavorare per il suo Paese, non è tenero verso la Russia che lo ospita – con permesso di soggiorno fino al 2017 – e sul terreno dei diritti civili punta il dito contro la stessa Gran Bretagna, “in deriva autoritaria”. Nel copione classico di una spy story, Snodwen si alza da tavola lasciando che FT imbastisca uno strano discorso su un cubo di Rubik: il fermacarte preferito da Snowden, si favoleggia anche per custodire sempre con sé alcune chiavette. Naturalmente il disegno ritratto a tutta pagina ha un cubo di Rubik ben in evidenza.
Il britannico Denton è assai meno noto al grande pubblico, anche se nelle settimane estive ha avuto qualche flash di celebrità globale. È un ex giornalista di FT che – dopo aver raccontato la Silicon Valley sulle colonne del quotidiano – una dozzina d’anni fa si è reinventato imprenditore web. Gawker.com, la sua società, ha avuto un successo rapidissimo. Già nel 2007, Denton era considerato il 502esimo britannico più ricco, con un patrimonio superiore ai 200 milioni di dollari. Gawker.com si è fatta un nome – e un valore – con l’aggressività di alcuni suoi siti di gossip. Nel 2010 un post di Valleywag rivelava l’omosessualità di Peter Thiel: un finanziere che ha investito fra i primi in Facebook e ha co-fondato PayPal. La reazione di Theil è stata una guerra a tutto campo contro Denton (lui pure gay): alla Rete – nel punto di vista di uno dei più importanti gestori di hedge fund californiani – non è mai consentito di violare fino in fondo la privacy delle persone.
Nel caso di Gawker, il passo fatale è stato la pubblicazione online di un video a sfondo sessuale leaked a “Hulk Hogan” star televisiva del wrestling. È stato Thiel a sostenere le spese legali della battaglia di Hogan contro Gawker: finita lo scorso 1 agosto con il fallimento pilotato della società sotto il peso di 140 milioni di dollari di risarcimento danni deciso dal giudice. Inutile dilungarsi sul tono del Lunch fra Denton e i suoi ex colleghi londinesi: “Evidentemente sono troppo amante della libertà per i Signori della Silicon Valley”, ecc.
La notizia, tuttavia, non ci pare sia che le confraternite oxfordiane entrino puntualmente in azione a difendere un loro adepto preso a pistolettate nel Far West. Né che una spia del ventunesimo secolo giochi con il suo personaggio appena immortalato da un film di Oliver Stone. Quello che incuriosisce è l’argomento scelto da FT per la chiacchiera di due weekend di fila: il web – metafora del mercato libero e meritocratico, della democrazia realizzata, della conoscenza diffusa, dell’emancipazione umana, della crescita globalmente sostenibile – può produrre l’esatto contrario. Anche in America: e a dirlo è il quotidiano della City di Londra. In manovra dopo Brexit.