Da tempo molti alzano la voce per chiedere l’obbligo di fornire un documento di identità per aprire un profilo sui social network. Questa proposta ha alcune caratteristiche decisamente peculiari e, fatto assolutamente singolare, nessuna è positiva. In primo luogo è inutile. Per avere conferma di questo dato di fatto sarebbe sufficiente sapere che il “mercato nero” più florido della criminalità informatica è il traffico di dati personali rubati. La facilità con cui si riesce a ottenere un falso documento d’identità è pari soltanto a quella con cui si acquista un libro su Amazon. Sono anni che si combatte un guerra contro l’accesso ai siti di  gioco d’azzardo on line da parte dei minori, ma purtroppo senza successo, perché l’immagine digitale di un falso documento è una specie di “commodities”.



Aggiungiamo un altro elemento di riflessione. L’intero mondo bancario combatte da oltre dieci anni con il problema dell’identificazione certa di chi esegue un’operazione finanziarie su Internet. Ormai per eseguire un bonifico sono necessari almeno tre, se non quattro, passaggi autorizzativi basati su diversi forme di autenticazione (codice cliente, password, token, ecc.), eppure ancora oggi le truffe sui pagamenti non sono state debellate. Immaginare che fornire una copia di un documento di identità possa anche lontanamente risolvere il problema degli haters o delle fake news è come sperare di spegnere un incendio con un pistola ad acqua.



La carta di identità che nel mondo reale può avere un senso, in quello oltre lo schermo è un “pezzo di carta” e in quanto tale di fatto “non esiste”. Andiamo oltre, perché questa proposta è anche estremamente pericolosa. Mi limito al più banale degli esempi. Una vittima di furto di identità, purtroppo i casi non mancano, che abbia coinvolto anche un suo documento di identità, potrebbe vedere aperti una certa quantità di profili social fasulli a suo nome. Per ogni contenuto suscettibile di denuncia il malcapitato si ritroverebbe a doverne rispondere.

La famosa truffa della Costa d’Avorio ha fatto decine di vittime tra ignari cittadini che hanno visto i propri documenti di identità rubati utilizzati come garanzia di affidabilità in compra-vendite on line tra privati. Risultato finale: una serie infinita di denunce da gestire spiegando di essere vittime di “una truffa nella truffa”. Posso soltanto immaginare cosa accadrebbe sui social network. Vorrei infine aggiungere una domanda: è proprio necessario fornire ai social network un’ulteriore messe di dati con cui profilare i propri utenti?



La soluzione di combattere haters e fake news con un documento di identità è ingenua nella migliore delle ipotesi. Forse si dovrebbe partire da una discussione su come creare un’identità digitale univoca “user friendly” e garantirne la sicurezza, quindi pensare a come possa essere utilizzata in un sistema sociale ed economico sovranazionale senza che sia possibile abusarne da parte degli operatori presso i quali viene utilizzata: infine, immaginare come spiegare l’importanza di quella che sarebbe una banale stringa di dati a dei cittadini che sembrano assolutamente inconsapevoli di quanto un leggerezza sulla Rete possa avere il peso di una montagna nella realtà.