Prima domanda: il cliente che consuma all’aperto o al banco può transitare all’interno del ristorante per usufruire dei servizi igienici, senza verifica del green pass? Lo stesso vale anche per il cliente che entra per un ordine d’asporto? Seconda domanda: il green pass è richiesto anche ai bambini? Terza domanda: esiste un obbligo di vaccinazione dei dipendenti in capo al datore di lavoro? Il datore di lavoro può accertarsi della vaccinazione dei lavoratori e/o obbligarli a vaccinarsi o a effettuare tamponi per accedere ai locali del pubblico esercizio?
Ci fermiamo qui, ma l’elenco potrebbe proseguire. Sono i quesiti che le associazioni di categoria dei pubblici esercizi si vedono rivolgere ogni giorno, e sempre più ansiosamente mano a mano che s’avvicina la scadenza del 6 agosto, quando entrerà in vigore il decreto legge 105/2021, quello che impone di essere muniti di una certificazione sul Covid (green pass; avvenuta vaccinazione, con validità di 9 mesi dal completamento del ciclo vaccinazione, o anche con la somministrazione della prima dose di vaccino, con validità dal 15° giorno successivo alla somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale; dal 15° giorno successivo all’unica dose di vaccino per chi ha avuto una precedente infezione da SARS-CoV-2; la guarigione dal SARS-CoV-2, con validità di 6 mesi dall’avvenuta guarigione; un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo con validità di 48 ore dalla sua esecuzione) per accedere, tra l’altro, ai servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per il consumo al tavolo, al chiuso (dunque non per l’accesso ai tavoli all’aperto, né per il consumo al bancone al chiuso, ad esempio per caffè al bar).
“Sono tutti dubbi più che legittimi – dice Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe, la federazione italiana dei pubblici esercizi (un milione di addetti, valore aggiunto di 46 miliardi di euro) – che devono essere chiariti. Ma ci rendiamo conto che queste nuove decisioni del Governo sono solo risposte a un problema grave, quello di una ripartenza difficile, adesso minacciata dalla terza ondata di contagi”.
E quindi, Presidente, anche i vostri associati, baristi, ristoratori e via dicendo, devono prepararsi al 6 agosto?
Temo che il decreto sia una strada obbligata, nella speranza che serva davvero a scongiurare nuove chiusure, come quelle che ci hanno costretto ad abbassare le serrande per così tanti mesi. Ma dobbiamo essere positivi e avere coraggio. Più coraggio noi, per le nostre imprese, e più coraggio anche il Governo, nella sua azione, che non deve conoscere incertezze, ma dettare linee guida chiare e tempestive.
Perché “tempestive”?
Perché le regole prima sono stabilite e chiarite e più diventano praticabili. Ma soprattutto perché è evidente che si andrà verso un obbligo vaccinale esteso, anche per il nostro personale. Ma se l’obbligo dovesse arrivare alla vigilia dell’applicazione delle nuove decisioni, e in assenza di corsie preferenziali, non ci sarebbe il tempo necessario per le vaccinazioni di chi ancora non fosse immunizzato. Comunque, c’è anche altro…
Anche per lei qualche dubbio?
Eh, per forza. Ad esempio: bisognerà pensare ai controlli, all’accesso ai dati sanitari, alle eventuali sanzioni. Se un dipendente boh-vax rifiutasse l’inoculazione o i tamponi ogni due giorni, potrei procedere alla sua sospensione o al licenziamento senza incorrere in possibili ricorsi e penali?
Insomma, a meno di dieci giorni dal greenpass-day lei si sente di tranquillizzare i suoi associati o no? È vero o no che tutto sommato al ristorante si andrà più volentieri sapendo che tutti, clienti e personale, saranno in possesso del green pass o di una certificazione equivalente?
Noi siamo responsabili e difendiamo una reputation costruita con il lavoro e un rischio d’impresa che negli ultimi tempi s’è moltiplicato a dismisura. Adesso viviamo come tutti una fase delicata, per noi appesantita anche dalla mancanza di circa 150 mila addetti alle attività stagionali e turistiche. Accettiamo le nuove norme, il green pass e le certificazioni, perché possono far sentire tutti più sicuri, e perché ci rendiamo ben conto che sono mirati al contenimento dei contagi e quindi alla ripresa economica, anche nostra. Ma vorremmo che si partisse tutti insieme, senza zone d’ombra e senza più incertezze.
(Alberto Beggiolini)
P.S.: Tanto per non lasciare senza risposta gli interrogativi che abbiamo sopra riportato, chiariamo (con l’aiuto di Fipe): stando al dl, è “ragionevole ritenere che l’obbligo del green pass non sia applicabile in tutti quei casi in cui l’ingresso ai locali non sia preordinato a effettuare il consumo al tavolo, come nel caso del cliente che, pur consumando nei tavoli all’esterno, abbia necessità di usufruire dei servizi igienici all’interno del locale. Lo stesso si dica per il cliente che faccia ingresso nel locale al solo fine di effettuare (o ritirare) un ordine per l’asporto”. E ancora: l’obbligo del green pass per accedere ai tavoli al chiuso di un esercizio di ristorazione non trova applicazione per i soggetti esclusi per età dalla campagna vaccinale, vale a dire, allo stato, per tutti i bambini sotto i 12 anni. E infine: le disposizioni (per adesso, ma la revisione sembra imminente) non impongono al datore di lavoro l’obbligo di vaccinazione e/o l’obbligo di tampone dei dipendenti per lo svolgimento della prestazione lavorativa. Ma il datore di lavoro non può nemmeno acquisire, neppure con il consenso del dipendente o tramite il medico compente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.