È notizia recente che il tribunale di L’Aquila, sezione lavoro, con un provvedimento depositato il 27 novembre, ha ritenuto essere illegittima la sospensione dal lavoro di un operatore della sanità che non aveva adempiuto all’obbligo vaccinale Covid (il brogliaccio della sentenza può essere consultato qui).



Si tratta di un obbligo noto ai lettori di questo giornale, che già in passato ha trattato della questione, invero divisiva e delicata, dell’obbligo per gli operatori della sanità di sottoporsi alla vaccinazione prevista dal decreto legge n. 44 del 2021, pena la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

L’ordinanza si segnala, a giudizio di chi scrive, per alcune torsioni concettuali, della cui razionalità si dubita fortemente. In essa si afferma:



1) anzitutto che gli obblighi introdotti in tanto valgono in quanto sorretti dalla «sussistenza del [l’implicito] presupposto della capacità preventiva dal contagio del vaccino». In realtà, dalla lettura della norma non sembra si possa desumere che essa subordini i suoi effetti ad alcunché;

2) in secondo luogo, che tale presupposto è assente. Il giudice aquilano afferma che è dato scientifico e di esperienza comune (e dunque come tale fatto notorio, con tutte le conseguenze processuali del caso e soprattutto le critiche che si possono muovere a una tale conclusione) che il vaccino non abbia nessuna incidenza sulla contagiosità del soggetto e dunque sulla diffusione del virus;



3) per l’effetto – alla luce di una lettura costituzionalmente orientata – che le norme non possono essere che illegittime.

Il grave errore in cui è incappato il giudice è che non si può dare, di una norma che introduce un obbligo, un’interpretazione, sia pure costituzionalmente orientata, che porti a negare l’esistenza dell’obbligo stesso e dunque a disapplicare la norma; lo strumento che l’ordinamento italiano conosce (salvo il caso particolare della non conformità alle norme dell’Unione europea) è quello della rimessione della questione al vaglio della Corte costituzionale, unico giudice che può valutare della conformità delle norme di legge alla costituzione.

Peraltro, al giudice aquilano sarebbe bastato poco; in effetti, a distanza di qualche giorno dal deposito del provvedimento, in data 30 novembre, la Corte costituzionale ha discusso della legittimità costituzionale del decreto legge n. 44 del 2021 e delle altre norme “dell’emergenza”, che hanno introdotto la sospensione del rapporto di lavoro e della retribuzione per gli operatori sanitari che non hanno adempiuto agli obblighi vaccinali.

Si ricorda che l’anno scorso la Corte, con sentenza n. 198 del 2021, aveva già ritenuto legittimo l’uso degli strumenti delle ordinanze e dei decreti del presidente del Consiglio per disciplinare il contenimento del contagio.

Nell’udienza del 30 novembre, invece, valutando il merito dei provvedimenti emergenziali, ha affrontato il vaglio di legittimità di diverse ordinanze di remissione (dei tribunali di Catania, Brescia, di Padova e del Tar della Lombardia), rigettando le questioni di costituzionalità sollevate; il giorno successivo l’ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale ha emesso un comunicato che sintetizza i motivi della pronuncia.

I parametri costituzionali alla luce dei quali è stato condotto il giudizio sono stati molteplici: gli artt. 1, 2, 3, 4, 21, 32, 35, 36 della Costituzione. Si tratta di quelle norme costituzionali che sanciscono essere il lavoro fondamento della Repubblica; che richiamano i diritti inviolabili e i doveri inderogabili dei cittadini, che fondano il principio di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi dello Stato; che affermano il diritto al lavoro, la tutela di esso in ogni forma e il diritto a una retribuzione equa e sufficiente; la libertà di manifestazione del pensiero; la salute come diritto individuale dei cittadini e interesse della collettività. E già questo vale a testimoniare come le norme “emergenziali” abbiano compresso (se legittimamente o meno è altra questione) un ampio novero di diritti costituzionalmente protetti.

Ebbene, il responso della Corte è stato nel senso di rigettare le questioni sollevate: alcune doglianze sono state rigettate per ragioni processuali; nel merito, invece, «le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario» sono state considerate non irragionevolisproporzionate; e pure non fondata è stata considerata la questione sollevata in relazione alla mancata previsione di una qualche forma di sostentamento economico al lavoratore cui sia stata sospesa la retribuzione.

In attesa che venga depositata la sentenza, non si può che confermare quanto già avevamo immaginato un anno fa, ossia che da un punto di vista formale e giuridico le norme emergenziali, per quanto possano essere percepite come illiberali e a tratti persino brutali, sono state e sono legittime.

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