Non si poteva aspettarsi dalla Corte costituzionale una decisione che non legittimasse l’obbligo vaccinale, in coerenza con i precedenti. In attesa della pubblicazione della sentenza si possono puntualizzare le domande cui si aspetta risposta. Molti oggi infatti si chiedono se la Corte abbia posto almeno qualche paletto rispetto alla compressione/sospensione di tanti diritti costituzionalmente garantiti e se ha argomentato sul concetto di “proporzionalità”, anche relativamente all’estensione degli obblighi ben oltre la cessazione dello stato di emergenza. E, ancora: che dire dei decessi correlati alla somministrazione del vaccino imposto in nome dell’interesse collettivo? Questo, infatti, è un fatto nuovo rispetto a precedenti campagne vaccinali, che potevano sì provocare danni, anche permanenti, ma che non provocavano danni irreparabili qual è la morte della persona vaccinata.
“Obbligo vaccinale a tutela della salute” è il titolo dello scarno comunicato della Corte del 1° dicembre. Si intuisce che la Corte si è basata sulla prevalenza dell’interesse collettivo in situazioni epidemiologiche critiche e sul dovere di solidarietà, “un dovere morale e civico” sul quale il Presidente Mattarella, che è stato giudice costituzionale, ha insistito innumerevoli volte. “Sono state ritenute non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale”, è scritto inoltre nel comunicato, lasciando intendere che l’intero impianto di misure prese è stato “blindato” in una logica da ragion di Stato.
Ma almeno sul principio di proporzionalità e di adeguatezza dei mezzi adottati rispetto al fine di contrastare il virus nei vari momenti di questi due anni, non c’è proprio niente da dire?
Guardiamo i fatti. L’obbligo per gli over 50 è stato introdotto dal Governo Draghi da gennaio 2022 fino al 15 giugno. Per i sanitari è protratto per l’intero anno. Ma, all’inizio di marzo, la situazione era già cambiata e la gravità drasticamente ridotta. Tanto che negli altri Paesi europei la fine delle restrizioni è cominciata quasi contemporaneamente all’introduzione delle nostre misure più drastiche.
Francia: il pass vaccinale (equivalente al super green pass) è durato meno di due mesi, dal 24 gennaio al 14 marzo. Il pass sanitario (equivalente al green pass) ha continuato a essere richiesto solo nelle strutture sanitarie. Da noi è tuttora obbligatorio un super green pass per andare a trovare/assistere un familiare in una Rsa. In Francia il Consiglio Costituzionale si era espresso il 21 gennaio 2022, senza entrare nel merito di valutazioni “scientifiche”, ma fissando dei paletti molto precisi: i provvedimenti restrittivi si possono applicare solo “se la situazione sanitaria lo giustifica”, e devono essere “rigorosamente proporzionati ai rischi per la salute sostenuti e adeguati alle circostanze del tempo e del luogo”. Germania e Austria: prima hanno annunciato obblighi e sanzioni, poi hanno fatto retromarcia. Grecia: con la recente sentenza del 24 novembre, il Consiglio di Stato ha dichiarato incostituzionale la proroga dell’obbligo vaccinale per i sanitari. In base al principio di proporzionalità, è stato considerato troppo lungo il periodo di sospensione.
Ciò considerato, una domanda sorge spontanea. Visto che, a sentire Ursula von der Leyen, l’Europa deve prepararsi all'”era delle pandemie”, la nostra Corte costituzionale avrà sentito il dovere morale di indicare, nella motivazione della sentenza, almeno qualche criterio per bilanciare equamente il diritto dell’individuo e l’interesse della collettività di cui all’art. 32 Cost? Ammettiamo pure che le scelte del legislatore, nel periodo più acuto della pandemia, siano state “non irragionevoli, né sproporzionate”: come si può giustificare il loro permanere ben oltre il periodo emergenziale?
Secondo una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. se rispetta le seguenti condizioni: il trattamento deve essere diretto a preservare la salute del singolo e degli altri; non deve incidere negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per conseguenze di scarsa entità, temporanee e tollerabili; al verificarsi di eventuali eventi avversi e di complicanze di tipo permanente deve essere previsto un equo indennizzo. La Corte esclude, in ogni caso, qualsiasi “trattamento coattivo”. Ammette invece le sanzioni amministrative pecuniarie in caso di inadempimento.
A riguardo, la prima domanda riguarda l’efficacia del vaccino anti-Covid come strumento fondamentale di prevenzione del contagio. Ma su questo siamo certi che la Corte non risponderà affatto. Sono valutazioni che riguardano gli esperti e gli enti preposti, si dirà. La seconda domanda, però, riguarda eccome il supremo organo di garanzia della legittimità delle leggi. Guardando i rapporti dell’Aifa, e senza tenere conto di altri studi scientifici (fatti da studiosi molto più titolati delle nostre abituali “virostar”) le morti correlate al vaccino ci sono, non sono poche, e le vittime erano persone sane. Premesso che in Italia le segnalazioni provengono da chi ha subìto il danno (farmacovigilanza passiva), che i danni sono verosimilmente sottostimati, che le denunce sono comunque al di sotto della media europea, i decessi segnalati dopo il vaccino sono 955, di cui 29 casi sono ufficialmente riconosciuti come correlabili al siero. Aifa, inoltre, considera soltanto i morti entro 14 giorni; quindi, sono automaticamente esclusi quei soggetti che hanno avuto un periodo di malattia più lungo prima del decesso.
Ma anche se le vittime da vaccino fossero 29 su 50 milioni di italiani vaccinati, si tratta di vite umane “sacrificate” per il bene collettivo? È accettabile? Se il diritto alla vita è un diritto fondamentale, quali criteri vanno seguiti per tutelare ciascuna vita umana? Attendiamo gli argomenti dei giudici costituzionali.
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