È giunto in serata il tanto atteso Comunicato stampa della Corte costituzionale sull’obbligo vaccinale: chiaro, secco, senza possibilità di equivoci o ripensamenti. La Corte ha ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all’obbligo vaccinale, di svolgere l’attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali.
Ci piacerebbe capire meglio cosa si intende per ragioni processuali e come queste possano aver rimosso con un secco colpo di spugna le argomentazioni relative alla libertà individuale e alla possibilità di mediazione tra personale “no vax” e relativi datori di lavoro.
La Corte invece ha ritenuto ragionevoli e proporzionate le scelte adottate dal legislatore nel periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario. Quindi non sono state prese in considerazione le questioni di natura economica che prevedevano la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi era stato sospeso dall’esercizio della sua professione. La sentenza riguarda esplicitamente il personale sanitario e il personale scolastico.
Condannati quindi tutti coloro che hanno deciso per molteplici motivi di non vaccinarsi, qualora il loro lavoro avesse previsto un rapporto personale con pazienti e studenti.
Eppure, il dibattito che si era svolto ieri nella sede della Consulta aveva messo in evidenza molti spetti che non è facile né semplice ignorare, a tal punto che otto magistrati avevano ritenuto interessanti molte argomentazioni presentate dagli avvocati dei “no vax”. Un buon approccio davanti ad una controversia che è stata al centro del dibattito pubblico negli ultimi tre anni avrebbe richiesto una revisione più lucida e più critica delle ragioni del sì e delle ragioni del no proprio in fatto di obbligo vaccinale.
Proprio il fatto che le norme anti-Covid, a cominciare dal green pass, non ci sono più (salvo che non si debba accedere come visitatori ai reparti di degenza degli ospedali e delle Rsa, e per accompagnare pazienti non Covid-19 nelle sale di attesa di pronto soccorso e strutture sanitarie), avrebbe consentito un dibattito più sereno e concreto, dal momento che sussistono ancora le questioni che ruotano intorno al principio di autodeterminazione, diritto fondamentale per eccellenza del nostro tempo.
Nella seduta di ieri, erano confluite davanti ai giudici costituzionali otto cause provenienti da magistrati che avevano ritenuto non manifestamente infondate le ragioni dei “no vax”. Magistrati che interpellano altri magistrati e sollevano dubbi e perplessità. Un problema tutt’altro che irrilevante se proprio ieri erano partite le multe per i “no vax” over 50 e quasi due milioni di persone oggettivamente a rischio di dover pagare una multa di 100 euro. Una multa non elevatissima, ma davvero inopportuna in un momento difficile come quello che stanno vivendo tantissime famiglie italiane. La tassa si aggiunge al mancato guadagno dei “no vax”, sospesi dallo stipendio per non essersi vaccinati. Le famiglie percepiscono la contraddizione di chi vuole ridurre le tasse e insiste su di una tassa da 100 euro; di chi cerca come incrementare il magro bilancio di tante famiglie con bonus di varia natura, ma non sembra prendere in considerazione il vulnus di chi per tre anni non ha avuto stipendio.
Una questione complessa sotto vari profili, che possiamo così sintetizzare:
– sul piano scientifico il vaccino garantisce davvero dal rischio Covid, ne senso che chi si è vaccinato non ha contratto l’infezione da coronavirus?
– in che rapporto stanno salute individuale e salute pubblica alla luce dell’articolo 32 della Costituzione?
– sul piano giuridico, nel bilanciamento tra diritti individuali e diritti generali, il punto di equilibrio della bilancia a tutela della libertà individuale dove si pone?
– l’obbligo vaccinale, ancorché riconosciuto come tale, se non soddisfatto comporta necessariamente la sospensione dall’impiego, dallo stipendio e una sorta di esposizione ad altre accuse dal sapore spesso infamante?
Per esempio, è vero che molte persone vaccinate hanno comunque contratto il virus, ma il vaccino ha ridotto sia la diffusione del virus su scala generale, sia la gravità dell’infezione in chi l’aveva contratta.
È vero che la prudenza richiedeva di limitare al massimo i rapporti tra non vaccinati e tutti gli altri, ma doveva essere possibile spostare queste persone o in smart working o in attività assai meno a contatto con il pubblico, per evitare il danno economico. Eppure a ben poche persone è stata offerta questa alternativa. È prevalso un clima punitivo, aspro e ben poco dialogante.
Siamo tutti in attesa di conoscere le ragioni della sentenza della Corte, ma se sul piano dei principi il vulnus resta quella della libertà individuale violata, sul piano scientifico il principio di precauzione resta l’indicatore più efficace. Nel dubbio la salute di tutti va privilegiata, cercando però di ridurre al minimo il disagio di chi non si allinea ad una decisione complessa e dagli infiniti risvolti. Senza dimenticare che è in gioco anche la sovranità del Parlamento il suo diritto-dovere a tutelare diritti e doveri di tutti.
Certamente non sarà né l’unica né l’ultima volta che la Consulta sarà sollecitata a dare valutazioni sul rapporto tra libertà personale e responsabilità sociale, ma nel frattempo potrebbe e dovrebbe partire una campagna di educazione sanitaria, di cultura scientifica e di approccio all’ascolto reciproco, tale da disinnestare i toni bellicosi dello scontro vax-novax per garantire il massimo rispetto alla vita e alla salute di tutti.
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