LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CONSULTA: “OBBLIGO VACCINO È COSTITUZIONALE”
Sono uscite le motivazioni della sentenza Consulta (in realtà sono 3, la n. 14, 15 e 16 del 2023) con cui viene stabilito che l’obbligo del vaccino anti-Covid è costituzionale: dopo i diversi ricorsi presentati da altrettanti Tribunali negli scorsi mesi più “caldi” per l’emergenza pandemica nazionale, lo scorso 1 dicembre la Corte Costituzionale aveva anticipato i contenuti della sentenza poi depositata in maniera completa oggi 9 febbraio 2023. Ebbene, con la sentenza n. 14 redatta dal giudice Filippo Patroni Griffi, la Consulta ha ritenuto «non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, concernente l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-Cov-2 per il personale sanitario».
La Corte ha ritenuto che la scelta presa dal Governo al fine di prevenire la diffusione del virus Sars-CoV2, limitandone la circolazione, non sia da ritenersi «irragionevole né sproporzionata, alla luce della situazione epidemiologica e delle risultanze scientifiche disponibili». L’obbligo imposto ad alcune categorie tra cui appunto i sanitari (obbligo decaduto il 1 novembre 2022 per volere del Governo Meloni) secondo la Corte è giusto che lo Stato possa bilanciare, in forza dell’articolo 32 della Costituzione, «il diritto dell’individuo all’autodeterminazione rispetto alla propria salute con il coesistente diritto alla salute degli altri e quindi con l’interesse della collettività». Secondo la sentenza della Consulta è legittimo e costituzionale la scelta dell’obbligo vaccino in quanto il legislatore ha tenuto conto «dei dati forniti dalle autorità scientifico-sanitarie, nazionali e sovranazionali, istituzionalmente preposte al settore, quanto a efficacia e sicurezza dei vaccini; e, sulla base di questi dati scientificamente attendibili, ha operato una scelta che non appare inidonea allo scopo, né irragionevole o sproporzionato». Nella pronuncia i giudici della Corte hanno chiarito che per il rischio remoto, e non eliminabile, di eventi avversi anche gravi sulla salute del singolo obbligato al vaccino «non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, ma costituisce semmai titolo all’indennizzo». La Corte ha poi rilevato che l’obbligo del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere a tale obbligo o sottrarsi: «assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge». Qualora invece il singolo adempia all’obbligo, «il consenso, pur a fronte dell’obbligo, è rivolto, proprio nel rispetto dell’intangibilità della persona, ad autorizzare la materiale inoculazione del vaccino».
CONSULTA, LE ALTRE DUE SENTENZE SU OBBLIGO VACCINO E TAMPONI
Sempre nell’udienza odierna della Consulta sono state presentati anche altre due sentenze – la 15 e la 16 – sempre legate alla questione dell’obbligo vaccino anti-Covid, anch’esse anticipate nel comunicato stampa della Corte Costituzionale del 1 dicembre 2022. In primo luogo, la sentenza 15-2023 con redattore Stefano Petitti ha stabilito che «la previsione, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 anziché di quello di sottoporsi ai relativi test diagnostici (c.d. tampone), non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili». Rispondendo ai ricorsi dei Tribunali di Brescia, Catania e Padova, la Corte Consulta ha affermato che la normativa censurata ha operato un contemperamento «non irragionevole del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione». Non viene ritenuto contrario ai principi di ragionevolezza e uguaglianza la scelta dello Stato di non prevedere per i sanitari “no vax”, «obbligo del datore di lavoro di assegnazione a mansioni diverse, a differenza di quanto invece stabilito per coloro che non potessero essere sottoposti a vaccinazione per motivi di salute o per il personale docente ed educativo della scuola. La Corte ha considerato tale scelta giustificata dal maggior rischio di contagio, sia per sé stessi che per la collettività, correlato all’esercizio delle professioni sanitarie».
Sul fronte della retribuzione o altro emolumento sospesa per i sanitari che si sono opposti all’obbligo di vaccino, la Corte ha giustificato tale comportamento compreso «la non erogazione al dipendente sospeso di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio. La Corte, infatti, ha ritenuto non comparabile la posizione del lavoratore che non ha inteso vaccinarsi con quella del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, casi questi ultimi in cui l’assegno alimentare può essere erogato». Nella sentenza 16-2023 della Consulta, infine, viene ritenuta inammissibile la questione di legittimità costituzionale sulla sospensione della professione sanitaria anche se le mansioni non comportano contatti personali: il redattore giudice Augusto Antonio Barbera nella sentenza respinge la sentenza del Tar Lombardia che «chiamato a decidere un ricorso di una psicologa che, a causa dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, era stata sospesa dall’esercizio della professione, ha dubitato della legittimità costituzionale della citata norma, ritenendola in contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’articolo 3 della Costituzione». Le questioni sono state dichiarate inammissibili in quanto vi è «difetto di giurisdizione del tribunale amministrativo regionale che le ha sollevate»: secondo la Corte di Cassazione, ricorda la Consulta, «appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui viene in rilievo un diritto soggettivo – nel caso, quello ad esercitare la professione sanitaria – non intermediato dall’esercizio del potere amministrativo». In termini pratici, la sospensione dell’esercizio della professione sanitaria «discende automaticamente dall’accertato inadempimento dell’obbligo vaccinale, imposto come requisito essenziale dalla legge», e pertanto la competenza su tali controversie spetta al giudice ordinario e non a quello amministrativo.