La risposta all’obesità può essere soltanto basata sui farmaci, oppure ci sono altri modi per contrastare quella che appare sempre di più come una vera e propria malattia sociale? La questione è stata affrontata dal quotidiano francese Le Monde, che sottolinea come secondo molti farmacologi l’approccio basato sui farmaci si è spesso rivelato inefficace quando non addirittura dannoso. La lotta all’obesità ha un duplice aspetto: da un lato il culto della magrezza promosso fino all’esasperazione sui social e sui media, dall’altro l’allarmante aumento di problemi legati al peso causati dalla nostra alimentazione sempre più grassa e ricca di zuccheri.



Un farmaco in particolare è stato usato e abusato per combattere l’obesità: si tratta del semaglutide, un agonista del recettore del glucagone-like peptide-1 (GLP-1), utilizzato nel trattamento del diabete di tipo 2 ed esteso per il trattamento dell’obesità grave. Ma non è l’unico, in quanto Le Monde segnala anche derivati dell’anfetamina, autorizzati per il loro effetto anoressizzante (poiché sopprime momentaneamente la fame) e per la loro azione sull’equilibrio fame-sazietà, con conseguenze drammatiche. Il Rimonabant, antagonista dei cannabinoidi di tipo 1 (CB1), è stato ritirato dal mercato a causa del rischio di depressione a fronte di un modestissimo beneficio sulla curva del peso. Orlistat, inibitore della lipasi intestinale, combina invece una bassa efficacia con un rischio di interazioni farmacologiche e talvolta gravi effetti collaterali a livello digestivo.



Obesità, perché aumenta e la medicina non riesce a contrastare questa tendenza

Solitamente la risposta farmacologica all’obesità è quella di inibire la sensazione di fame oppure di accelerare il senso di sazietà o l’appetito per determinati alimenti. In buona sostanza, l’obiettivo è modificare uno dei comportamenti più elementari della specie umana. Tuttavia, l’allarmante aumento di obesità e sovrappeso è stato principalmente concomitante con lo sviluppo di una dieta industriale e di un cambiamento sociale delle abitudini alimentari legato soprattutto al minore costo degli alimenti di qualità peggiore. Secondo l’analisi di Le Monde, dunque, l’obesità e il sovrappeso sono quindi una malattia sociale che si cerca di giustificare da un punto di vista medico tirando in ballo presunti fattori di suscettibilità genetica. Eppure, è la dieta a base di cibi industriali che semplicemente non si adatta alla nostra genetica.



Se accettiamo la tesi secondo cui l’obesità è una malattia sociale, allora non ha senso cercare una risposta farmacologica se non per aprire nuove strade all’industria farmaceutica. La risposta all’obesità dovrebbe arrivare non tanto dalla medicina quanto piuttosto dalla politica e dalla società, promuovendo la prevenzione soprattutto nei giovani e nei giovanissimi. In particolare, per combattere davvero l’obesità la risposta deve essere politica, per affrontare i legami tra aumento di peso, disuguaglianze, situazione sociale e tenore di vita.