Le armi russe che uccidono i soldati ucraini hanno componenti occidentali, anche italiane. Lo rivela Le Monde, anticipando i risultati di uno studio condotto da un gruppo, Yermak-MCFaul, che riunisce esperti ucraini e americani incaricati di valutare le sanzioni contro la Russia. Il rapporto verrà pubblicato nei prossimi giorni, ma il giornale francese è già in grado di rivelare come Mosca riesce ad aggirare le sanzioni. Gli studiosi hanno analizzato pezzi di artiglieria, veicoli blindati, droni e missili recuperati in Ucraina per risalire all’origine dei loro componenti. Dai 58 pezzi esaminati, sono stati esaminati 1.057 componenti, la maggior parte dei quali sono chip e processori elettronici prodotti da 155 aziende straniere.



Due terzi di queste sono americane, ma ci sono anche le aziende francesi Thales e Souriau, oltre a chip elettronici prodotti dalla STMicroelectronics in Italia, oltre che in Francia. Lo sa bene il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: «In uno dei missili che ha colpito oggi Kryvy Rih, circa cinquanta dei suoi componenti – soprattutto microelettronici – erano prodotti in altri Paesi». Dunque, si chiede come la Russia abbia ancora la «capacità di ottenere componenti essenziali per la produzione di missili da aziende di tutto il mondo, compresi i Paesi partner». In un documento trasmesso ai Paesi del G7 martedì 13 giugno, che Le Monde ha visionato, la presidenza ucraina prevede un raddoppio della produzione missilistica russa, da 512 nel 2022 a 1.061 nel 2023, grazie soprattutto alla fornitura di chip elettronici occidentali.



IL RUOLO DEGLI INTERMEDIARI (E DELLA CINA)

Per capire come la Russia riesca a far arrivare tante componenti elettroniche occidentali, gli autori del rapporto hanno esaminato le statistiche del commercio estero russo. Le importazioni delle componenti “essenziali” sono aumentate bruscamente nell’ultimo trimestre del 2021, pochi mesi prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina, prima di crollare con l’introduzione delle sanzioni, per poi riprendere rapidamente a maggio 2022. Questo è il caso dei semiconduttori, fondamentali per la produzione di attrezzature militari: l’85% delle importazioni russe proveniva dalla Cina alla fine dell’anno, rispetto al 33% dell’anno precedente. Questo non vuol dire che la produzione sia cinese. «È importante notare che la maggior parte delle marce non sono prodotte in Cina, ma spedite attraverso intermediari cinesi».



Il consigliere di Zelensky, Vladyslav Vlasiuk, evidenzia: «Abbiamo scoperto, ad esempio, che in alcuni missili un microchip è stato sostituito da due o tre componenti simili prodotti in Russia o in Cina, anche se tali sostituzioni sono ancora rare». L’Ucraina ritiene, dunque, che le sanzioni debbano colpire anche i produttori di macchine utensili, soprattutto tedeschi e giapponesi, che sono soliti fabbricare armamenti in Russia. I loro pezzi di ricambio sono molto richiesti. D’altra parte, le sanzioni occidentali stanno frenando la produzione russa poiché, secondo il rapporto McFaul-Yermak, «l’analisi dei detriti ha mostrato che la Russia ha utilizzato missili da crociera prodotti nel primo trimestre del 2023 in attacchi recenti, indicando che le scorte sono estremamente basse».

STMICROELECTRONICS E THALES SI DIFENDONO

Il gruppo McFaul-Yermak chiede un «rafforzamento dell’applicazione dei controlli sulle esportazioni». Sebbene le sanzioni vengano decise a Bruxelles, spetta agli Stati membri farle rispettare. Ma non tutti hanno la stessa volontà politica o la stessa capacità di farle rispettare. Il produttore di chip elettronici STMicroelectronics ha ricordato a Le Monde che ha «200.000 clienti e migliaia di partner in tutto il mondo» e che dal febbraio 2022 ha rafforzato misure come «il filtraggio degli utenti finali» e «l’implementazione di soluzioni automatizzate per il controllo dei clienti e dei prodotti», senza però specificare quali. Thales, dal canto suo, afferma di non aver firmato alcun contratto di difesa con la Russia da quando sono state imposte le prime sanzioni nel 2014, anche se ha continuato le consegne di attrezzature vendute prima di quella data fino al 2019. L’azienda di difesa aggiunge che, per ogni nuovo contratto firmato, garantisce «l’assenza di qualsiasi relazione contrattuale, tecnica o finanziaria diretta o indiretta con la Russia».

“COMMERCIO OMBRA”: GERMANIA SOTTO ACCUSA

Il dibattito è in corso anche in Germania, che sarebbe in prima linea nel “commercio ombra occidentale” con la Russia. In questo caso, è la piattaforma investigativa OCCRP ad alzare il velo su questi affari, confermando che avvengono tramite intermediari che aiutano la Russia ad aggirare le sanzioni occidentali. Dunque, anche le aziende tedesche finiscono nel mirino. Erlend Bollman Bjørtvedt, della società norvegese di consulenza aziendale Corisk, ha analizzato i dati doganali internazionali per scoprire se e in che misura i Paesi che hanno aderito alle sanzioni contro la Russia le stiano aggirando, scoprendo che i Paesi occidentali hanno esportato merci per un valore di 8 miliardi di euro verso Paesi terzi dal marzo 2022 – poco dopo l’inizio della guerra – fino a dicembre. «Le aziende tedesche hanno rappresentato più di un quarto del volume. Queste aziende occidentali agiscono per grave negligenza o intenzionalmente», ha dichiarato Bjørtvedt a Welt am Sonntag.

I numeri sono impressionanti: «Alcune aziende hanno aumentato le loro vendite a Paesi come Kazakistan o Armenia del 1000, 10.000, 70.000 per cento da quando la Russia ha invaso l’Ucraina lo scorso febbraio. È impossibile ignorare una cosa del genere». Il Ministero dell’Economia e della Tecnologia tedesco, al corrente delle accuse, ha definito «inaccettabile» l’elusione delle sanzioni. Le transazioni seguono il solito schema: un’azienda con sede in Occidente vende prodotti a un’azienda di un Paese terzo, che poi li rivende a rivenditori russi – come nel caso dei droni, che in realtà sono destinati a utenti privati. Le autorità Usa sono preoccupate: Washington ha identificato cinque Paesi che svolgono un ruolo centrale: oltre a Kazakistan e Armenia, ci sono Georgia, Emirati Arabi Uniti e Turchia, membro della NATO. Con il prossimo pacchetto di sanzioni la Commissione Ue vorrebbe colpire proprio i governi dei Paesi che fungono da intermediari, ma ci sono Stati che si oppongono, come la Germania.