L’Occidente sta sacrificando l’Armenia solo per provare a fiaccare la Russia. L’aggressione degli azeri rientra nella strategia di accerchiare Mosca e isolarla dal punto di vista politico. Lo sostiene Bruno Scapini, ex ambasciatore dell’Italia e presidente onorario dell’associazione italo-armena per il commercio e l’industria. Ne parla a La Verità, accusando i governi europei e la Casa Bianca di non essersi esposti più di tanto nella condanna della “barbara aggressione messa a segno in queste ore dall’Azerbaijan con l’obiettivo di spegnere le ultime resistenze armene nella ormai estinta Repubblica dell’Artsakh“.
Dall’Occidente sono esternazioni di circostanza per Bruno Scapini sulla condanna dell’uso della forza. “Al di là dell’Ucraina, non sembra vi sia altra aggressione nel mondo, per quanto efferata e brutale possa essere, che riesca a suscitare lo sdegno e la reazione dell’Occidente“. Il problema, però, non è la sconfitta militare, ma il dramma umanitario. Gli armeni del Karabakh si stanno ammassando nei luoghi non ancora espugnati, per sfuggire a persecuzioni e atrocità: ora è la popolazione il bersaglio dell’Azerbaijan. Le miniere d’oro sono state già conquistate e vendute, le armi sono state consegnate al vincitore.
“ARMENIA? UN ALTRO TASSELLO DELLA STRATEGIA OCCIDENTALE”
La situazione è a dir poco delicata per l’Armenia, perché i civili sono esposti all’odio del nemico. “Gli uomini vengono rastrellati nei villaggi, uccisi o incarcerati con l’accusa, falsa e pretestuosa, di banditismo o addirittura di terrorismo“, ricostruisce Bruno Scapini su La Verità. Oltre ad essere delicata, la situazione è pure complessa, perché ci sono fattori geopolitici che pesano sul futuro dell’Armenia. Se prima dietro il conflitto c’era solo uno scontro tra il principio di integrità territoriale dell’Azerbaijan e quello di autodeterminazione dei popoli dell’Armenia per il Nagorno Karabakh, ora lo scenario è più ampio e include gli Stati Uniti, e per essi la Nato, secondo l’ex ambasciatore.
L’obiettivo è di “singolarizzare la Russia sul piano internazionale, accerchiandone il territorio e dispiegando armi strategiche per tutto il perimetro dei suoi confini occidentali dal Baltico al Caucaso“. L’oggetto di questo scontro per Scapini non è il diritto alla libertà o la democrazia, bensì “di conseguire una egemonia sul mondo prima che certi Paesi oggi emergenti possano contrastare con la loro crescita l’affermarsi della leadership a stelle e strisce a livello planetario“. Sulla scia della guerra in Ucraina, la crisi del Nagorno Karabakh per Scapini rappresenta “un altro tassello della strategia occidentale, e americana più in particolare, volta a esercitare un ulteriore condizionamento sul Cremlino“.