Visti i dati del mercato del lavoro riferiti al mese di luglio i commenti si sono tutti concentrati sul proseguo di un periodo roseo per l’occupazione.

Anche l’ultima rilevazione Istat conferma la crescita del tasso di occupazione che non si stanca, mese dopo mese, di superarsi continuamente. Anche il tasso di disoccupazione tocca un minimo che non si vedeva da tempo. La crescita occupazionale è in questo caso trainata dal lavoro autonomo e si ferma invece la crescita del lavoro dipendente. Crescono però gli inattivi, segno di un certo pessimismo o di decisione stagionale per coloro che dovrebbero cercare lavoro.



Resta positivo il ricorso a contratti a tempo indeterminato e continua a rimanere in calo il ricorso a quelli a tempo determinato.

Al netto di possibili effetti stagionali estivi sulla composizione dei dati visto che è periodo di forti stagionalità contrattuali e di rallentamento delle assunzioni nei settori tradizionali, si conferma però un lungo periodo di crescita dell’occupazione. Possiamo incominciare a vedere che alcune caratteristiche che segnano il nostro mercato del lavoro non sono fatti episodici ma caratterizzano la crescita ormai decennale del tasso di occupazione.



Ricordiamo per voluta polemica che questo andamento di crescita è parallelo all’entrata in vigore del Jobs Act ed ai provvedimenti legati a quel progetto di riforma del mercato del lavoro. Il percorso di crescita ha avuto rallentamenti legati prima alla crisi finanziaria e poi al periodo della pandemia. Dopo entrambi i periodi le previsioni di disastri occupazionali, fatte da chi non riesce a elaborare idee se non in presenza di fatti negativi, sono state smentite da una ripresa occupazionale trainata soprattutto da una manifattura che ha capacità di espansione all’estero e da una crescita dell’edilizia privata.



La ripresa autunnale sembra quindi aprirsi con una situazione positiva. Certo il dibattito cui saremo obbligati con quanti hanno chiesto un referendum per abrogare parti residue di provvedimenti riferibili in parte al jobs act come soluzione per fare crescere i lavori di qualità farà perdere tempo ed energie che potrebbero essere impiegate esattamente per obiettivi opposti.

Sì perché la crescita, ormai, come visto nel lungo periodo, si porta dietro fenomeni strutturali che richiedono interventi altrettanto di lungo periodo, per garantire lavoro di qualità per tutti. Diciamo che servirebbe un Jobs Act 2 per aggiornare strumenti e per affrontare i nuovi aspetti del lavoro nel periodo di inizio delle applicazioni di intelligenza artificiale.

Nonostante la crescita del tasso di occupazione complessivo noi scontiamo ancora un basso tasso di occupazione giovanile e femminile. Oltre alla necessità di curare un’immigrazione mirata per sopperire a professionalità scarse, la prima risposta all’impatto del calo demografico è quello di correggere le storture per cui permane una forte difficoltà per l’entrata al lavoro dei giovani e resta bassa l’occupazione femminile.

La prima cosa da fare sarebbe di mettere fine a bonus e sovvenzioni, sia lato imprese per le assunzioni che lato persone, che hanno dimostrato negli anni di non incidere sulle condizioni strutturali, ma essere solo sostegni economici che rischiano di tenere in piedi posti di lavoro fittizi o sostenere, come si diceva a Milano, dei fanigottoni.

Per rispondere al basso tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro la risposta più efficace, oltre agli assegni previsti per sostenere le nascite, sono i servizi di supporto. Ancora oggi le differenze territoriali e i ritardi generali sono molto forti. Gli investimenti del Pnrr sono in ritardo ed è questa una parte di investimenti su cui si rischiano tagli.

Le giovani donne sono anche la quota maggioritaria dei Neet. Questa parte di giovani che non studiano e non lavorano, di cui abbiamo un record europeo non sono ancora stati oggetto di una politica mirata. Dopo gli scarsi risultati del programma Garanzia giovani nessuno ha fatto un’analisi di chi sono e per quali ragioni non si affacciano al mercato del lavoro, almeno a quello ufficiale. Qui si evidenzia come il ritardo nel creare un sistema di servizi efficace per le politiche attive del lavoro rende deboli le politiche rivolte alle fasce deboli della forza lavoro. Non si tratta di sveltire il rapporto fra domanda ed offerta di lavoro con il ricorso anche all’AI, ma di avere soggetti che si prendono in carico le persone definendo percorsi personalizzati di formazione finalizzati a inserimenti lavorati già individuati. Anche così si corregge il più volte denunciato mismatching  che si è ampliato fra formazione giovanile ed esigenze del sistema produttivo.

Anche il nuovo Jobs Act avrebbe poi la sua parte contrattualistica. Serve sicuramente definire i contratti per i lavoratori dipendenti da piattaforme e algoritmi. Non si tratta solo delle consegne di prodotti ma di un crescente settore di servizi, anche di alta professionalità, dove il lavoro si svolge per obiettivi e ed è slegato da sede fisica o da regole temporali. Sono professioni più simili ad attività di ricerca che a lavori professionali classici. Oggi parte della crescita del lavoro autonomo è probabilmente legata alla crescita di queste nuove professioni ed all’assenza di forme di contratto di dipendenza applicabili.

Anche il salario minimo, come per altro previsto anche dal Jobs Act 1, potrebbe trovare in un nuovo quadro legislativo sul lavoro una sua proposta attuativa, che non è nel fissare una cifra, ma un metodo che fissi, partendo dagli accordi contrattuali, i riferimenti per tutti. Starà poi alla rappresentanza sindacale la capacità di realizzare ulteriori valorizzazioni sia su base aziendale che su base territoriale come già in essere in aree metropolitane di altri paesi.

Si sta definendo il documento di programmazione degli impegni pubblici per i prossimi 7 anni come da nuove indicazioni europee. Dobbiamo certo ricavare risorse per tenere alto l’impegno di investimenti pubblici come primo obiettivo. I dati del mercato del lavoro chiedono anche loro che si esca da una programmazione che non va mai oltre il semestre per immaginare interventi organici e coordinati che correggano i ritardi strutturali che mantengono bassa la partecipazione al lavoro di giovani e donne.

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