Con la rilevazione dei dati dell’occupazione a dicembre Istat ci dà un quadro completo del 2023. Si conclude un anno di grande crescita occupazionale: rispetto a dicembre 2022 gli occupati sono +456 mila unità, il tasso di disoccupazione passa dal 7,9% al 7,2%, il tasso di occupazione dal 60,8% al 61,9%. In totale gli occupati sono 23 milioni e 754 mila. Per la cronaca, il famoso “milione di posti di lavoro in più” c’è, se si prendono a riferimento i mesi di agosto e settembre del 2021; potremmo sintetizzare con lo slogan “un milione in 30 mesi”.



Per raggiungere il valore obiettivo di un tasso di occupazione al 70% (media europea) mancano circa 3 milioni di occupati, a questi ritmi poco più di 7 anni. Possibile raggiungere l’obiettivo?

Ci sono fattori che lavorano per anticipare il raggiungimento di questo traguardo. Il calo demografico nella fascia di età che si prende a riferimento, quella fra i 15 e i 64 anni di età, sta interessando le persone fra i 35 e i 49 anni, con una domanda dei datori di lavoro che si sta ampliando verso le classi dei più giovani e soprattutto verso gli over 50. Questi ultimi, con le pensioni che si allontanano, hanno buone probabilità di mantenere o trovare lavoro. L’onda demografica ha un altro effetto indiretto: più anziani ci sono, anche se in buona salute, più cresce la domanda di lavoratori nel settore dei servizi. Crescono le domande di assistenza familiare e personale, di cibo cotto da consumare a domicilio, di turismo anche a breve raggio e di breve durata con un buon livello di servizi e cresce la domanda di personale nel settore sanitario.



C’è un paradosso demografico a cui prestare attenzione: più si invecchia, meno si lavora ma più si genera domanda di lavoro. L’impatto del paradosso demografico non è necessariamente positivo; senza programmi di invecchiamento attivo, che consentano il lavoro, magari a tempo parziale, ai pensionati a qualunque titolo, è difficile pensare che il paradosso demografico non agisca spingendo in alto anche i salari a dispetto delle azioni di contenimento delle banche centrali per ridurre l’inflazione. L’innovazione tecnologica potrebbe sostituire il lavoro, ma non nelle professioni di cura.



A remare contro la crescita occupazionale ci sono poi le crisi in cui oggi il mondo e l’Europa vivono. Inutile nascondersi il peso negativo delle guerre, inutile nascondersi che la spinta alla crescita del mercato globale oggi si sta affievolendo perché è sempre più difficile fidarsi di piccoli e grandi autocrati. I principali Paesi industriali stanno agendo per “rendere sicure” le catene di fornitura, vale a dire per renderle più vicine e meno esposte a guerre e a Paesi che potrebbero usare materie prime e prodotti come strumento di ricatto.

Insomma tutto bene nel mercato del lavoro attuale, ma i problemi all’orizzonte non mancano (delle competenze che mancano ne parleremo un’altra volta).

Tornando al breve periodo, la crescita dei valori assoluti per il mese di dicembre avviene con un’inversione di tendenza rispetto ai mesi precedenti: sono in crescita gli inattivi (donne e over 35), ma potrebbe trattarsi di un fatto puramente stagionale, con disoccupati che smettono di cercare lavoro prima della pausa natalizia per puntare su gennaio, mese di grandi assunzioni. Il travaso fra disoccupati (senza lavoro che cercano) e inattivi (senza lavoro che non cercano o non sono disponibili) è un fatto ricorrente in prossimità delle grandi festività.

L’occupazione cresce tra gli uomini, i dipendenti a termine, gli autonomi e gli under 34, mentre cala tra donne, dipendenti permanenti e tra chi ha almeno 35 anni. Anche in questo caso è presto per valutare se si tratta di un peggioramento all’orizzonte o di un assestamento di fine stagione; le aperture straordinarie della grande distribuzione organizzata per le vendite natalizie spingono verso l’alto i lavori a termine e sono un’ottima occasione di lavoro occasionale per i giovani. Visti i numeri non altissimi dei movimenti possiamo tranquillamente pensare che si tratti di un assestamento stagionale, in attesa di essere eventualmente smentiti dalle prossime uscite.

Un occhio particolare dobbiamo tenerlo invece sulla crescita del lavoro indipendente. In attesa di maggiori dettagli sul 2023 (i dati mensili in prima pubblicazione sono sempre provvisori e molto aggregati), notiamo che la crescita del lavoro indipendente nel 2023 fa segnare un +0,8% rispetto a dicembre dell’anno scorso, dopo tanti anni di calo. Che si tratti dell’effetto delle migliori condizioni fiscali riservate a partite Iva e autonomi? Che al calo della pressione fiscale si stia accompagnando una maggiore voglia di autonomia delle nuove generazioni? Che anche i senior si stiano accorgendo che le loro competenze si possono usare anche senza stare troppo vincolati all’azienda? Forse tutto assieme.

Insomma, dati buoni ma tante domande aperte, soprattutto per chi in azienda si occupa di assunzioni e di strategie di crescita. Non stanno cambiando i problemi, ma il modo con cui le persone vedono il lavoro sta cambiando, e questo, a leggere bene, si vede anche nei numeri.

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