Meno male che a Bruxelles “governa” ancora Margrethe Vestager, commissaria europea alla Concorrenza, e meno male che non sono i Ceo di pochi colossi globali a decidere dov’è giusto fissare l’asticella della redditività di un’azienda. Perché altrimenti passerebbe senza ostacoli la filosofia spudoratamente enunciata dall’amministratore delegato di Vodafone Nick Read, secondo la quale – sentite bene – “ci sono troppe compagnie di telefonia mobile in Europa, cosa che porta a una concorrenza implacabile e rendimenti insostenibilmente bassi sul capitale”.



Fantastico: “troppa concorrenza” è un concetto turbocapitalista che solo un gruppo anglosassone poteva distillare da quel magma fumante di sottocultura prevaricatrice che porta oggi mezzo mondo a essere schiavo di colossi come Google o Facebook.

Ovviamente, è vero il contrario: la concorrenza non è mai troppa. Ovviamente la concorrenza tutela i consumatori dall’arbitro dei prezzi imposti dagli oligopolisti, quello che ad esempio sta flagellando il mondo con il caro-energia proprio in queste settimane.



Ha senso approfondire questi aspetti parlando di telefonia mobile, e appellandosi alla Vestager, perché è ormai ufficiale che il gruppo francese Iliad ha fatto un’offerta per rilevare Vodafone Italia. Parlandone ieri con l’agenzia di informazioni finanziarie Bloomberg, il suo amministratore delegato Thomas Reynaud ha confermato di aver messo sul tavolo la sua proposta per la divisione italiana dell’operatore anglosassone.

Ma che c’entra la Vestager, e dunque la responsabile dell’antitrust europeo? C’entra, e molto. Ricordiamoci come mai il gruppo francese Iliad è entrato nel 2018 nel mercato italiano: c’è entrato grazie alla Vestager. Ovvero: per oltre un anno i cinesi di Ck Hutchison, padroni di 3 Italia, e i russi di Vimpelcom (proprietà dell’oligarca moscovita Mikhail Fridman) all’epoca padroni di Wind, avevano negoziato per fondere le due aziende. Negli enunciati, la ragione era nelle solite fole sulle sinergie organizzative. In sostanza, c’era un unico vero obiettivo: mettendo insieme le rispettive clientele si raggiungeva la posizione di leader nazionale e contemporaneamente si poteva concordare una politica di prezzi tale da eliminare le offerte più convenienti, che competevano tra loro, alzando quelle minime e guadagnando tutti di più, a discapito dei consumatori. Tutti: non solo 3 e Wind, ma anche Telecom e Vodafone. E infatti Telecom saliva in Borsa tutte le volte che arrivavano buone notizie dalle trattative tra Wind e 3! Perché dalla loro fusione anche i concorrenti ne avrebbero tratto vantaggio, fregando i consumatori. Ripeto: fregando i consumatori.



Quelli colti lo chiamano “market repair”, letteralmente “riparazione del mercato”. Ma, come si dice a Bruxelles, “ca’ nisciun’è fesso”. La Vestager, una socialista-radicale danese figlia di un pastore, mangiò la foglia. E quando autorizzò la fusione, la condizionò al fatto che le due società fidanzate cedessero sul mercato uno spazio di banda capace di ripristinare l’esistenza di un quarto operatore. Proprio le obbligò a cercare un compratore per un grosso pacchetto di utenti. Si fece avanti Iliad, che comprò.

Quindi da un quadro in cui in Italia concorrevano Tim, Vodafone, Wind e 3 si passò al quadro attuale, in cui concorrono Wind-Tre, Tim, Vodafone e Iliad. La quale Iliad – ironia della sorte -nacque ed è cresciuta dapprima in Francia e poi in vari altri Paesi, come “low cost company” del mercato, la “Ryanair dei telefoni”, grazie al fatto di aver potuto partire senza i costi fissi delle vecchie strutture post-statali, ancora relativamente piene di personale, ma con un’organizzazione tutta digitalizzata, dove per parlare con un essere umano del call-center devi restare 100 ore al telefono.

E adesso che ti fa, Iliad? Si è stabilizzata e vuole crescere per alzare le sue tariffe minime per fare massa critica e guadagnare di più. E Vodafone cosa dice, per lo meno in astratto? Che guadagna troppo poco perché “c’è troppa concorrenza”.

Ebbene, popolo: sappiate cosa intende per “guadagnare poco”, mister Vodafone. Nell’ultima presentazione di dati, relativa al primo semestre dell’esercizio in corso (che è sfasato tra il 2021 e il 2022), ha registrato “ricavi da servizi” per 2,1 miliardi di euro ed ebitda a 917 milioni. Avete letto bene. Il 40% di ebitda sui ricavi. Per i meno esperti, ebitda significa – su per giù – “margine industriale”, cioè il guadagno che proviene dai ricavi meno i costi vivi. Poi per arrivare all’utile netto si deve ancora togliere il valore degli ammortamenti, delle svalutazioni di beni, degli interessi sulle passività finanziarie e le tasse. Diciamo che l’utile netto che nasce dall’ebitda di una società sana oscilla tra il 25% e il 35% dell’ebitda, 250-300 milioni di euro in questo caso (dipende dalla cosiddetta “politica di bilancio”).

Ebbene, a lorosignori di Vodafone intascarsi 250 milioni su 2.100 di fatturato non basta, è poco, “c’è troppa concorrenza”. Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò.

Forse, se ci fosse un po’ di concorrenza in più contro Facebook, contro Google, con Gazprom, contro Exxon, il mondo sarebbe un posto più civile. Meno male che c’è la Vestager.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI