La sorte è una delle protagoniste della riforma della giustizia approvata ieri in Consiglio dei ministri. Per superare il sistema correntizio che ha dominato le decisioni del CSM serviva una proposta che desse una idea chiara delle intenzioni della maggioranza che, di fatto, ha proposto di abdicare ad ogni sistema elettivo dei componenti del futuro Consiglio, siano essi magistrati o laici, eliminandone l’elezione e di conseguenza rendendo irrilevante l’appartenenza politica. I componenti verranno sorteggiati tra un ristretto numero di aventi diritto e verranno nominati solo se avranno la sorte di essere estratti da un metaforico bussolotto. Questo renderà, nelle intenzioni, più asettiche e meno partigiane le decisioni assunte sulla carriera dei magistrati e meno rilevante il ruolo delle diverse componenti politiche.
A ciò si aggiunge, elemento politicamente qualificante, la divisone delle carriere e la duplicazione del CSM in due tronconi, uno dedicato ai giudicanti e l’altro ai requirenti. Una distinzione che riprende le più volte dichiarate promesse elettorali della maggioranza, che ha sempre indicato in questo percorso uno dei suoi elementi più distintivi.
Infine, i magistrati verrebbero giudicati da un’Alta corte, e quindi non dal CSM, anch’essa composta da componenti sorteggiati tra laici, giudicanti e requirenti, ed in parte nominati dal Presidente della Repubblica. Un sistema che si reggerebbe sulla impossibilità di precostituire maggioranze all’interno dei singoli collegi espungendo, sempre nelle intenzioni, ogni possibile scelta basata sull’appartenenza.
Letta nella sua interezza, la proposta di riforma risponde ad alcuni requisiti per renderla appetibile a larga parte del Parlamento e della società. Non tanto per i meccanismi proposti, che appaiono coraggiosi ma perfettibili, quanto nel non lasciare il dubbio che non vi è da parte della politica una volontà di affermarsi sulla magistratura. Infatti rimane l’obbligatorietà dell’azione penale, che vuol dire l’impossibilità di impedire inchieste o di sottoporre i requirenti ad un controllo preventivo sul loro operato.
In pratica, ogni requirente potrà avviare le indagini, una volta avuta una notizia di reato, senza che altri poteri possano intromettersi. Quindi, nessuna riforma in senso anglosassone con la pubblica accusa sottoposta alle decisioni gerarchiche di un soggetto terzo, bensì una solida permanenza nel territorio della tradizione costituzionale. E non è poco, visti i precedenti tentativi di riforma annunciati che prefiguravano un controllo ed una discrezionalità sull’esercizio dell’azione penale.
Il quadro complessivo andrà sicuramente migliorato e rivisto nel corso dell’approvazione. Anzi, lo stesso Governo ha definito la proposta aperta ai miglioramenti in Parlamento proprio per tentare di superare lo scoglio di un referendum, raccogliendo i 2/3 delle adesioni nelle varie letture che la riforma avrà. Appare chiaro che c’è, questa volta, un forte volontà di arrivare ad una riforma costituzionale della giustizia e la prova ulteriore risiede nel fatto che la maggioranza ha spacchettato le riforma costituzionali in due tronconi. Uno riguarda il premierato e la riforma sull’assetto del potere esecutivo, a cui si dedica con forza ma che sa avrà in sorte il referendum confermativo. L’altro troncone è quello varato ieri sulla sola giustizia, che viene offerto a quelle forza politiche che sul tema hanno sempre dimostrato attenzione pur essendo all’opposizione. La somma di queste forze supererebbe i famigerati 2/3 e renderebbe la riforma valida senza referendum.
Va detto che alcuni punti che appaiono lontani dalla tradizione costituzionale, come il sorteggio integrale, potrebbero essere calmierati da meccanismi di gestione delle nomine diversi, come preferire una partecipazione al CSM calmierata per anzianità minima scaglionata ovvero aggiungendo un correttivo di genere, per impedire la presenza di componenti di un solo sesso che un sorteggio “integrale” potrebbe presentare. Ma correttivi a parte, in questo percorso conta davvero capire se la giustizia ha bisogno o meno di una manutenzione costituzionale. E tanti, da tanto tempo, sembrano convinti che via sia una necessità di rivedere le regole e dare un’impostazione diversa ad alcuni aspetti della gestione delle carriere del magistrati e una maggiore chiarezza sui percorsi professionali.
La novità è che questa riforma, così come proposta, ha una sua radicalità nei principi ma – lo ripetiamo – mantiene intatto il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, mettendo al riparo i requirenti da ogni ipotetica limitazione delle loro prerogative. Che sorte avrà questo testo è presto per dirlo, anzi si può sin da ora avanzare l’ipotesi che verrà emendato e rivisto proprio con lo scopo di ottenere un consenso ampio. Quel che è certo è che la sua sorte, ovvero se diventerà o meno parte della Costituzione, non dipenderà dalla fortuna ma dalla vera voglia della politica (e della magistratura) di voltare pagina.
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