Il green pass all’italiana è passato, entrerà in vigore il 6 agosto, non sarà ferreo come quello francese e soprattutto è stato presentato non con l’abito dell’“uomo solo al comando” indossato in Francia da Emmanuel Macron, ma con il piglio del pragmatismo che è la cifra di Mario Draghi premier.
Il passaporto vaccinale, ha detto Draghi davanti ai giornalisti, non è una limitazione alla libertà, ma una garanzia di sicurezza, un’assicurazione per poter frequentare altre persone non contagiose, un lasciapassare per godersi le ferie e guardare con fiducia al futuro. La variante Delta è minacciosa, ha riconosciuto Draghi, tuttavia “la campagna vaccinale ha permesso all’economia di riprendersi” e “il green pass è la condizione per continuare a tenere aperte le attività economiche”. Che sono piuttosto numerose: ristoranti e bar al tavolo al chiuso (non al bancone), spettacoli aperti al pubblico, eventi sportivi, musei, mostre, piscine, palestre, sport di squadra, centri benessere, centri culturali e ricreativi, sagre e fiere, convegni e congressi, parchi divertimento, sale gioco, concorsi pubblici.
Prima del certificato, tuttavia, entra in vigore con un decreto legge (non Dpcm) la rimodulazione dei criteri per il cambio dei colori che determinano le chiusure delle Regioni. Se dunque da un lato Palazzo Chigi viene incontro alla parte della sua maggioranza più chiusurista, dall’altro soddisfa quanti chiedevano di allargare i parametri per le zone colorate: rimane invariato l’indice Rt, che però d’ora in poi dovrà essere accompagnato da indicatori ospedalieri di occupazione delle terapie intensive e delle altre aree mediche. Per esempio, per passare da zona bianca a gialla il primo indice dovrà superare il 10% e il secondo del 15%. Il decreto consente di evitare le chiusure che sarebbero altrimenti scattate già nei prossimi giorni in alcune regioni.
A una domanda anti-salviniana di un giornalista di Repubblica, Draghi ha detto: “L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Oppure a far morire”. In realtà, né Salvini né Giorgia Meloni hanno mai lanciato appelli a non vaccinarsi, quindi il premier non si è rivolto a loro. Subito dopo ha precisato che l’andamento epidemiologico di oggi è completamente diverso da quello precedente la campagna vaccinale. In ogni caso, per capire quali siano le preferenze di Draghi bastava guardare le immagini della conferenza stampa: lui e la ministra Marta Cartabia si sono tolti la mascherina spesso e volentieri, anche quando non dovevano parlare, mentre il ministro Roberto Speranza – al quale è stato delegato il compito di dettagliare le nuove misure – è rimasto sempre rigorosamente imbavagliato.
Quanto alla guardasigilli, ha annunciato assieme a Draghi che sarà messa la fiducia sulla riforma della giustizia: dev’essere un atto unitario dell’intera maggioranza. Il pressing sul governo non è cessato, né dal lato 5 Stelle né dal fronte della magistratura, ma c’è la necessità di “mettere un punto fermo” anche se resta la “buona volontà di accogliere migliorie di carattere tecnico che non stravolgano l’impianto”. Cioè, minimi ritocchi ma nulla di sostanziale. È il segnale atteso dall’Europa, che ha legato la concessione del Recovery fund allo snellimento delle interminabili procedure giudiziarie italiane. Ed è pure un modo per mettere spalle al muro Giuseppe Conte, che per ritagliarsi un ruolo nel “nuovo” M5s aveva ingaggiato un braccio di ferro proprio sulla riforma della giustizia, spalleggiato dall’area che fa riferimento al Fatto Quotidiano. Le sue esigenze di visibilità non diventeranno veti posti sulla strada del governo. E ancora una volta tra i 5 Stelle prevale la linea governista di Luigi Di Maio. Il governo non cadrà e anche i grillini si predispongono ai blocchi di partenza per partecipare alla lunga corsa per il Quirinale.
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