Dopo la Camera, anche il Senato, a grande maggioranza (177 sì, 24 no), ha approvato la riforma del processo penale voluta dal ministro Cartabia. L’approvazione di una legge che abbreviasse i tempi di definizione del processo era una delle condizioni poste dall’Unione Europea per erogare i fondi del Recovery Plan. L’Italia è infatti primatista europea per condanne ricevute dalla Corte di Strasburgo per irragionevole durata dei processi.



Tutta l’attenzione mediatica si è concentrata sulle norme in tema di prescrizione: politici e opinione pubblica si sono divisi tra chi voleva confermare le modifiche introdotte dal precedente guardasigilli che di fatto abolivano l’applicazione della prescrizione e chi riteneva indispensabile reintrodurre il principio per cui un processo non può durare all’infinito. Si è arrivati così a una soluzione di compromesso con l’introduzione del principio dell’improcedibilità dell’azione penale nel caso in cui i giudizi di appello e quelli avanti la Corte di Cassazione non si concludano entro un certo periodo di tempo. Per accontentare le forze politiche più intransigenti (e le richieste di alcuni pubblici ministeri), sono stati esclusi dall’applicazione della tagliola dell’improcedibilità i reati che destano più allarme sociale. Come dire: se sei imputato di fatti gravi il tuo processo può durare in eterno.



Ma non si può dimenticare che la riforma prevede anche un’infinità di altre innovazioni che dovrebbero contribuire a rendere il processo più veloce: le notificazioni degli atti saranno effettuate nella quasi totalità dei casi in via telematica, vengono implementate le digitalizzazione e le tecnologie telematiche, le indagini preliminari dovranno essere più rapide, i Pm dovranno chiedere il processo solo quando le indagini svolte fanno ritenere che è ragionevolmente prevedibile una condanna, aumentano i casi in cui si può patteggiare la pena e i casi in cui si può chiedere di fare volontariato per evitare il processo, aumentano i reati punibili solo a querela di parte, viene estesa l’applicabilità dell’istituto dell’estinzione del reato per particolare tenuità del fatto ed evitare così di celebrare processi per fatti di modesta entità. Insomma, a giudizio arriveranno meno processi e verranno celebrati meno dibattimenti. I processi, quindi, saranno più veloci e il rischio prescrizione e improcedibilità dovrebbe quindi nel tempo essere destinato a ridimensionarsi.



Occorre poi ricordare che proprio in questi giorni sono in corso le selezioni per l’assunzione di migliaia di giovani neolaureati che lavoreranno in Tribunale con giudici e cancellieri per far meglio funzionare la macchina del processo.

Ma il lavoro del legislatore non è finito: molti di questi nuovi istituti entreranno in vigore solo quando saranno emessi i decreti attuativi della legge delega. 

In particolar modo dovranno essere regolamentate le nuove pene sostitutive della detenzione in carcere introdotte dalla riforma: arresti domiciliari, semilibertà, lavori di pubblica utilità potranno essere irrogati direttamente dal Giudice che emette la sentenza di condanna e dovrebbero contribuire a decongestionare gli istituti penitenziari.

Ed è proprio quella delle carceri la prossima grossa sfida che attende il ministro: rendere gli istituti penitenziari più vivibili e implementare il ricorso alle misure alternative per sconfiggere la piaga dl sovraffollamento: una nuova commissione è già al lavoro.

Ma non è tutto. Vi è anche l’urgenza della riforma dell’ordinamento giudiziario. Occorrerà intervenire su separazione delle carriere, riforma dell’elezione del Csm e dei consigli giudiziari: i referendum sulla giustizia promossi dai radicali e dalla Lega incombono.

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