Un voto che ha mandato pezzi la Commissione von der Leyen. Il parlamento europeo ha approvato con 336 voti a favore, 300 contrari e 13 astenuti il testo del Nature Restoration Law, la proposta di legge sul ripristino delle aree naturali voluta dalla Commissione. Un provvedimento “identitario” per il vicepresidente socialista Frans Timmermans, il Pse, i verdi, parte dei liberali e le sinistre.



Il vero fatto politico è che 21 parlamentari popolari hanno votato il testo, contravvenendo alle indicazioni del partito, e determinando una sconfitta politica per il leader Manfred Weber, regista di un progressivo allontanamento del Ppe dal Green Deal inizialmente voluto insieme ai socialisti.

Per Marco Zanni, europarlamentare della Lega e capogruppo di Identità e Democrazia (Lega, Rassemblement National, AfD e altri) “è un risultato che spacca completamente il Partito popolare europeo, che è il perno di questa maggioranza. Adesso i popolari facciano un ragionamento di lungo termine, capiscano il danno che viene da questi orientamenti e condividano con noi un percorso politico”.



Onorevole Zanni, lei ha dichiarato che “la maggioranza che regge le istituzioni Ue non esiste più, non va più d’accordo sui temi chiave dell’Europa”. Però il Nature Restoration Law è passato.

No so, francamente, che risultato possano vantare: il Ppe, che è o meglio era il perno di questa maggioranza, esce completamente lacerato dal voto e dimostra di non avere una posizione chiara su questi temi. Mi pare folle proseguire approvando a colpi di 7-8 voti di margine provvedimenti che cambiano la vita delle persone per sempre.

Qual è la sua previsione?

Forzare una maggioranza di 12 voti divisa al suo interno è una logica che non porta lontano, e non ho alcun dubbio che prima o poi la maggioranza si trasformerà in minoranza. È questo che la Commissione vuole? Non credo che sia la strategia migliore, soprattutto per chi dice di voler costruire una “nuova” Europa.



Timmermans non può cantare vittoria?

No, nemmeno lui. Troverà un’opposizione ancora più forte ad altri provvedimenti ideologici di questo tipo. Non vedo davvero come il voto di oggi possa essere dichiarato un successo politico.

Cosa prevede l’iter?

Un negoziato del team parlamentare in Consiglio, un appuntamento al quale l’europarlamento, adesso, arriverà debolissimo.

Secondo lei Timmermans è consapevole di questa situazione?

Secondo me sì. Non solo. Ritengo che mandi avanti un pericoloso gioco al massacro pur di portare a casa questo genere di provvedimenti.

Eppure i fautori del ripristino della natura dicono che i settori che si oppongono – allevatori, agricoltori, agroalimentare – contrariamente a ciò che loro stessi pensano, beneficeranno della legge. Cosa rispondete?

Rispondiamo che questo provvedimento va a ridurre in maniera importante le terre coltivabili e quindi la produttività, e che la sicurezza alimentare, come ogni tipo di relazione umana con l’ambiente, si raggiunge trovando un bilanciamento nel rapporto tra uomo e natura, come è accaduto fin dai secoli più lontani della nostra storia. Dire che l’uomo deve ritirarsi per lasciare spazio alla natura non è un buon approccio. Deve rispettarla, ma anche governarla, e governandola averne cura. Se lasciassimo a se stesse tante aree paludose o boschive, come richiede questa legislazione, ci ritroveremmo con zone non salubri e pericolose.

Quindi non siete contrari alla transizione ecologica. 

Assolutamente no. La natura va resa compatibile con l’attività umana. Pensiamo a tanti boschi dei nostri territori che vengono continuamente controllati. Lasciando la natura incondizionatamente libera, non si fa il bene né degli uomini né della natura stessa.

Che cosa chiedete?

L’Europa pesa per l’8% nelle emissioni globali di CO2, questo dicono i dati. Serve pragmatismo, non ideologia. Chiediamo che venga lasciata libertà agli Stati membri e all’iniziativa privata su come raggiungere gli obiettivi e che gli obiettivi siano condivisi e realisticamente raggiungibili.

Cosa significa approccio ideologico per lei?

Dire agli agricoltori e alle aziende “voi inquinate, per cui dovete chiudere”. In questo non c’è nessuna “sostenibilità”, ma soluzioni impercorribili perché sono contro l’uomo e il lavoro. I fautori della decrescita felice, Timmermans in testa, pensano che si debba tutti tornare indietro.

Non è chiaro se il Ppe si sia opposto al Nature Restoration Law con l’obiettivo di mollare i socialisti oppure no.

La mia sensazione è che il posizionamento del Ppe non sia strategico, ma tattico, e abbia di mira solo le prossime elezioni. Ricordiamoci che il Green Deal, è stato votato anche dai popolari, non solo nei provvedimenti ma anche nei principi generali.

Magari pensando di sistemare le cose proprio nella declinazione dei principi generali.

Può darsi, ma sarebbe stato comunque un grave errore, perché una volta accettati i principi generali il resto viene di conseguenza e sono guai.

Dove sta il tatticismo?

I popolari si sono riposizionati quando si sono accorti che votare il Green Deal faceva perdere voti a vantaggio di partiti di altra area politica, noi compresi. Prendiamo l’Italia: Confindustria è sempre stata vicina a posizioni filo-europeiste, ma sentire Bonomi dieci giorni fa all’assemblea di Assolombarda faceva sorgere qualche dubbio.

Qual è il vostro ruolo?

Io spero che adesso i popolari facciano un ragionamento di lungo termine, capiscano il danno che viene da questi orientamenti socialisti e condividano con noi un percorso politico. Abbiamo dimostrato che a dubitare sin dall’inizio del Green Deal avevamo ragione. Se vogliono, noi ci siamo.

Dunque la palla è nel campo loro?

Sì. Il Ppe è diviso, devono decidere se fare un’altra grande coalizione con la sinistra oppure un patto più “naturale”, con chi la pensa alla stessa maniera.

Le vostre condizioni?

I contenuti. La nuova maggioranza di centrodestra non può essere un feticcio in cui entra qualsiasi cosa. Se c’è una volontà di reale cambiamento e condivisione di intenti, siamo disponibili.

Adesso nel Ppe c’è anche un problema di leadership?

Sì, perché questa era la battaglia di Manfred Weber, non solo contro il Green Deal ma anche contro von der Leyen, e Weber l’ha persa. Ha dimostrato di non avere il controllo del gruppo.

(Federico Ferraù)

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