Quattro famiglie in vacanza su un’isola lussureggiante vengono invitate dal resort che le ospita a visitare una spiaggia nascosta; questo paradiso della natura cela però un segreto mortale che cambierà profondamente le loro vite, costringendole a tentare la fuga con ogni mezzo in una disperata corsa contro il tempo. Questo l’incipit di Old, scritto e diretto da M. Night Shyamalan, regista celebre per i suoi improbabili colpi di scena soprannominati affettuosamente “Shyamalan twist”, ma anche per pellicole elogiate da critica e pubblico quali Split e Il Sesto Senso. 



Liberamente ispirato alla graphic novel Castello di sabbia di Pierre Oscar Levy e Frederik Peeters, Old si inserisce alla perfezione nel solco della filmografia del regista. L’elemento soprannaturale, che non sveleremo in questa sede pur essendo intuibile da titolo e locandina, è centrale ma non fine a se stesso, e viene anzi utilizzato come mezzo per approfondire la psicologia dei personaggi. Non è una novità per Shyamalan: mentre Split e The Village parlavano rispettivamente di abusi familiari e della paura che ha colto gli Stati Uniti post-11 settembre, Old è un film che esplora il concetto del tempo, del suo utilizzo e di come esso porti via le piccole preoccupazioni che gravano sulla nostra quotidianità. 



Questo elemento si riflette sulla composizione del cast corale che copre le più disparate fasce di età, ma a nostro parere sono i bambini i veri protagonisti di Old: le loro interazioni, la loro evoluzione e il modo in cui reagiscono ai crucci delle loro controparti adulte sono di certo alcuni dei maggiori pregi della pellicola. Forte di molteplici ottime interpretazioni, il loro travagliato percorso alterna momenti di tenerezza e di profonda inquietudine, interconnessi in un’esperienza da incubo che li costringerà a maturare prima del dovuto.

Pronunciarsi sul resto del cast è più difficile: gli altri attori – per citarne alcuni Vicky Krieps de Il Filo Nascosto e Rufus Sewell, reduce da un ruolo di comprimario in The Father – risultano perlopiù convincenti, ma le loro performance sono costantemente piagate da dei dialoghi macchinosi e innaturali. I personaggi commentano continuamente l’ovvio, si ripetono ad nauseam e si lanciano in spiegoni a uso e consumo dello spettatore, sconnessi dal contesto della narrazione. Ciò naturalmente va a gravare sulla loro caratterizzazione, specie quella dei comprimari, che risultano macchiettistici e monocorde.



I dialoghi della famiglia protagonista sono in linea di massima più dignitosi, e la sceneggiatura presenta alcune finezze: ad esempio, un semplice gioco per bambini viene utilizzato sia come espediente per introdurre i personaggi secondari che come richiamo nel finale. Shyamalan sa come impiegare i meccanismi del thriller, ma al tempo stesso non sembra avere chiaro il modo in cui gli esseri umani parlano tra di loro.

Se i dialoghi lasciano a desiderare non si può dire lo stesso della regia, che riesce nella non facile impresa di iniettare una sana dose di claustrofobia in una spiaggia tropicale. I momenti di dialogo sono gestiti con sobrietà, mentre quelli di tensione sono messi in scena con una regia dinamica, ma mai eccessiva o gratuita. Tenendo a mente insegnamenti di hitchcockiana memoria, Shyamalan non mostra mai l’orrore senza che lo spettatore non abbia modo di presagirlo, e anche al culmine della tensione preferisce far intuire che mostrare apertamente – con alcune raccapriccianti eccezioni. Nel fare ciò è supportato da un ottimo comparto audio e da una colonna sonora intrigante, che apre il film con delle sonorità alla Jurassic Park – coerenti con la location da film d’avventura – e si trasforma in un accompagnamento perturbante man mano che viene svelata la natura della pellicola.

Sfortunatamente, le qualità di Old non bastano a salvarlo dalla sua sceneggiatura, un colabrodo di errori di logica e scelte infelici. Considerato il suo incipit, il film dovrebbe tener viva l’attenzione mostrando gli ingegnosi tentativi di fuga dei suoi brillanti – almeno in teoria – protagonisti, ma gli spunti e le meccaniche con cui li mette alla prova non conducono ad alcun tipo di progresso, e il film di conseguenza risulta statico: i personaggi inanellano una decisione insensata dopo l’altra e si dimostrano incapaci di far fronte alla situazione surreale in cui si trovano, che con il passare dei minuti muta da perturbante a meramente fastidiosa.

Il film, appesantito dai dialoghi sopracitati, arranca sempre allo stesso modo fino alla sua conclusione: tra un improbabile deus ex machina , uno “Shyamalan twist” di cui si poteva fare a meno e una chiusura eccessivamente zuccherosa, il finale costituisce il degno coronamento di una trama in cui si fa fatica a trovare qualcosa che torna.

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