Vanno in archivio i giochi olimpici di Parigi, un’edizione che conferma come questa competizione stia perdendo sempre più il suo spirito originario, quello che rilanciò le Olimpiadi nell’era moderna grazie al marchese Pierre De Coubertin nel 1896.

Il nobile francese (che non voleva partecipassero le donne!) fu uno dei primi ad intendere lo sport sia come strumento per condurre una vita più sana, sia come possibilità di mettere a confronto atleti di nazionalità diverse. L’idea di fondo del barone francese era semplice, desiderando che il confronto sportivo sostituisse quello bellico, e per oltre un secolo, ad ogni successiva edizione, l’appuntamento olimpico crebbe di importanza ed universalità.



Da qualche decennio, però, le Olimpiadi sono però diventate soprattutto una grande kermesse di confronto economico e sfida tra i Paesi ospitanti, che le hanno trasformate in vetrine mondiali e – appunto – in una sorta di campionati mondiali di specialità, ma venendo progressivamente meno allo spirito originario.



Innanzitutto c’è stata un’inflazione di sport ammessi ai Giochi, con molte discipline che vengono praticate solo in alcune aree del mondo ma, dovendo accontentare tutti, le sedi sportive e le specialità olimpiche hanno ormai superato ogni logica.

Il Wushu è praticato di fatto solo in Cina, il Lacrosse (una sorta di hockey su prato giocato con una specie di rastrello a cucchiaio) o il “flag football” (vi ricordate da bambini il gioco della bandiera, quando dovevate strappare un nastro attaccato al basso schiena dell’avversario?) sono prettamente nord-americani, ma sono ora diventati sport “olimpici” pur certamente restando ben poco diffusi.



Oltretutto le discipline praticate sono ora proposte con infinite sotto-specialità (compreso il basket 3×3 o il calcio a 5) seguite solo dagli specialisti del settore e non certo con carattere universale. Quanti sanno che alle fine – ditemi se non c’è stata decisamente un po’ di inflazione! – a Parigi sono state assegnate almeno 5.084 medaglie? “Almeno” perché ci potranno essere anche alcuni “ex-aequo”.

Addio poi spirito dilettantistico: il CONI per esempio ha stabilito ufficialmente in 180mila euro il premio per una medaglia d’oro, 90mila per ciascun argento e 45mila il premio lordo per una di bronzo.

Alla fine, così, concorrono (quasi) tutti in un replay dei mondiali e non certo solo i dilettanti, come era rigorosamente previsto fino a qualche anno fa.

C’è poi la questione degli “oriundi”, delle nazionalità, dei transgender ed intergender che hanno monopolizzato il dibattito di questi giorni.

Non solo. Di fatto c’è una corsa a offrire la nazionalità ad ogni straniero che potrebbe arricchire il medagliere nazionale, con corsie preferenziali predisposte a farla velocemente raggiungere (“per meriti sportivi”) a chi potrebbe disputare una finale e magari vincere una medaglia.

I Paesi africani, per esempio, conquistano sempre meno medaglie, ma solo perché la gran parte dei loro atleti sono “attratti” da nazioni più ricche, che offrono una sistemazione per la vita. Colonialismo al contrario? Non è un fenomeno nuovo: avete visto agli europei di calcio quanti giocatori svizzeri non avevano propriamente la fisionomia di un montanaro del cantone di Uri?

A questo va aggiunto il fenomeno degli sportivi “militari”, in quanto per gareggiare tutto l’anno è molto più comodo essere assunti (senza concorso) in questa o quella forza armata ed entrando così nei rispettivi gruppi sportivi che – tra l’altro – garantiscono un futuro anche a fine carriera: è un altro modo di fare professionismo.

Dello spirito originario resta così solo la fatica degli atleti e delle atlete, soprattutto in quegli sport poco conosciuti e con pochi sponsor, quelli che appaiono in tv solo ogni quattro anni. Negli altri c’è un’inflazione tra campionati, coppe e super-coppe nazionali, continentali, mondiali e così via che in pratica moltiplicano le Olimpiadi senza soluzione di continuità.

Poi metteteci la grandeur di Macron e non solo, le polemiche, i problemi di sicurezza ma soprattutto la sconsolante concretezza che la guerra, quella vera, si fermava ai tempi dei greci duemilacinquecento anni fa, oggi invece la “tregua olimpica” è purtroppo solo un lontano ricordo e ci si ammazza ogni giorno, impunemente e con infinita e costante crudeltà.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI