In barba ai burocrati che spadroneggiano sullo sport e che da anni vedono il personaggio come spina nel fianco, lui a Parigi ci sarà.  E questa è già una notizia perché nonostante il valore tecnico di questo maestro dello sport, in mezzo secolo di attività professionale e in quasi quarant’anni di servizio al CONI, Sandro Donati alle Olimpiadi non è mai stato ammesso.



Ci sono andati alcuni atleti da lui allenati, che si sono presi medaglie (la 4×400 a Mosca, gli sciabolatori ad Atene) o finali (Sabia, Materazzi e la 4×400 a Los Angeles e Seul), ma le battaglie contro il doping del tecnico romano gli hanno sempre precluso la strada. Oggi quando varcherà l’area olimpica avverrà una sorta di risarcimento tecnico e morale da parte del CONI che lo ha accreditato alla manifestazione come dirigente di lungo corso dell’Istituto di Scienza dello sport, l’ente che da metà degli anni Settanta supporta il CONI, presente in Francia con una delegazione di sette inviati.



Incrocerà nei prossimi giorni i dirigenti del CIO, della WADA, della World Athletics, delle varie Federazioni, gente che probabilmente digerirà male la presenza di Donati, ma lui rimane fedele a sé stesso e in questi giorni non si è morso certo la lingua, trovandosi -nella parte di grande accusatore degli organismi sportivi mondiali – in buona e inaspettata compagnia.

Se infatti qualche mese fa erano stati gli spagnoli del quotidiano on line RELEVO a scoperchiare la complicità della WADA nel coprire il doping di diversi atleti iberici, nascosto dalle autorità nazionali, in questi giorni è stato il giornalista danese Lars Sejer Andersen sulla newsletter di Play the Game a rincarare la dose. Ha rivelato che CIO e WADA stanno ricattando gli statunitensi, non solo agitando lo spettro di una inchiesta sulla USADA, la filiale americana della Agenzia mondiale antidoping, ma soprattutto avendo inserito una clausola che può portare a revocare l’assegnazione a Salt Lake City (Utah) delle Olimpiadi invernali del 2034.



Motivo? L’inchiesta del FBI che ha fatto emergere lo scandalo dei 23 nuotatori cinesi positivi al doping e non sospesi, che evidentemente imbarazza WADA e CIO, ma soprattutto l’ipotesi che alle prossime Olimpiadi in suolo americano (Los Angeles 2028) l’FBI possa fermare e interrogare atleti o funzionari cinesi implicati nello scandalo. Andersen rinfaccia inoltre alla WADA mancanza di trasparenza, rifiuto del confronto coi governi, la subalternità al CIO e ironizza sulla scelta dei dirigenti di affidarsi – come giudice super partes nella vicenda dei nuotatori cinesi – a uno della cricca dei legali di Losanna, da sempre contigui alla WADA, che nella città svizzera ha la sua sede. Insomma il fortino autoreferenziale traballa, ma sarebbe bene che anche l’Europa – muta sullo scandalo dei cinesi ed è meglio sorvolare sui motivi di tale silenzio – si svegliasse e desse qualche segnale di dignità.

 

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