Passati i giorni delle curve da stadio sulla pelle di due atlete, venerdì durante l’incontro tra il presidente del CIO e il capo del nostro Governo è arrivata una significativa ammissione: “I criteri scientifici vanno affinati”. Già, finalmente tra le fessure delle ideologie, si fa largo un approccio serio alla questione sollevata dal match Khelif-Carini.



Come si definisce in campo sportivo l’identità sessuale di un’atleta?

Le varie federazioni internazionali vanno in ordine sparso. Il CIO, che sotto la pressione di atleti transgender, intersex e DSD (con differenze di sviluppo sessuale), aveva diramato l’anno scorso delle linee guida, si accorge che hanno già bisogno di revisione. Non ci si può più infatti limitare all’identità segnalata sul passaporto e sui limiti imposti dall’Agenzia mondiale antidoping, specie in un contesto di poca trasparenza.



Dovendo semplificare il dibattito, diciamo che si oppongono grosso modo due linee di pensiero. Alcune Federazioni e il CIO ragionano sui profili ormonali, ponendo dei limiti, che si possono abbattere anche per via farmacologica. Altre Federazioni spingono perché sia dirimente nell’identificazione dell’identità sessuale non il testosterone o le caratteristiche fisiologiche, ma i cromosomi e dunque l’analisi genetica del DNA.

Il mondo scientifico avverte che entrambe possano non essere dirimenti. Con l’uso del cortisone si possono infatti abbattere i livelli di testosterone poco prima di un’Olimpiade lasciando di fatto inalterato il vantaggio del proprio profilo ormonale. Lo ha spiegato bene il prof. Bizzarri ieri a Il Sussidiario. Per contro le varianti cromosomiche rispetto al cariotipo sono decine come sembrerebbe indicare anche il caso Imane Khelif registrata come femmina all’anagrafe, ma con cromosomi maschili che hanno autorizzato la Federazione internazionale pugilistica a escluderla dal Mondiale femminile.



Avverte però il genetista Bruno Dalla Piccola che la questione “è etica. La scienza può aiutare, possiamo spiegare casi clinici, ma le regole le devono decidere chi dirige lo sport”. Tradotto: la patata è bollente perché complessa, ma se ne può uscire solo con regole certe, che di sicuro, in un mondo come quello dello sport che giustamente separa le competizioni tra maschi e femmine, verranno avvertite come politicamente scorrette e discriminanti da chi predica l’ideologia che i sessi non siano solo due.

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