“Chi si accontenta muore” c’era scritto sui muri dell’università. Tempi lontani, del secolo scorso, ma la realtà non cambia, perché la sete dell’uomo rimane identica e nessun bit, social, intelligenza artificiale può spegnerla. A patto che la si voglia vivere in pienezza, in profondità, senza accontentarsi, appunto. Ce lo ripetono, ormai da quasi due settimane, anche gli olimpionici di Parigi.
Non tutti, certo, ma tra interviste fotocopia e manie di grandezza emergono personalità degne di attenzione ben oltre le gare svolte e perfino le medaglie conquistate. Benedetta Pilato, per esempio, 19 anni e un terzo posto nei 100 metri rana sfuggito per un solo centesimo, nemmeno il tempo d’un battito di ciglia. Davanti ai microfoni Rai avrebbe potuto mostrarsi arrabbiata o delusa, invece ha detto in lacrime che quello era il giorno più bello della sua vita perché le aveva fatto capire il suo valore. Alice D’Amato, 21 anni, è riuscita a mettersi la medaglia al collo, addirittura d’oro, nella prova di ginnastica alla trave. Il padre che adorava, morto di cancro un anno fa, la sorella gemella (e si sa quanto essere gemelli condizioni la vita di entrambi) ginnasta come lei ma costretta a casa da un infortunio, la dedica della vittoria al genitore “che mi guarda da lassù” e un desiderio manifestato alla giornalista senza alcun pudore: “Vorrei metter su famiglia e avere dei figli”. Inaudito di questi tempi, addirittura spiazzante detto da una ragazza ancora giovane e probabilmente con almeno un’altra olimpiade davanti.
E poi due nuotatori di cui uno, Gregorio Paltrinieri, a quasi 30 anni e dopo tanti successi avrebbe l’età per smettere, ma invece conquista un argento e un bronzo dei 1500 e negli 800 stile libero e dichiara che nemmeno i trionfi olimpici possono riscaldargli il cuore. Con lui il 23enne Thomas Ceccon, le cui immagini della vittoria nei 100 metri dorso hanno fatto il giro del mondo insieme a quelle del sonnellino schiacciato sull’erba del villaggio olimpico perché, a parte il caldo insopportabile della camera, aveva bisogno di restare solo, che dà ragione a Paltrinieri quando assicura che nemmeno una medaglia può togliere il freddo che a volte si sente dentro, perché niente può spegnere “il desiderio di raggiungere una meta”.
Come dire che non c’è metallo che tenga, oro compreso: il cuore dell’uomo chiede di più, il desiderio di infinito non può venire appagato dalla gloria, dalla fama, dai soldi, dal successo, dai riflettori sempre accesi. Verrebbe spontaneo un confronto con tanti influencer, uomini di spettacolo, sportivi di discipline ben più ricoperte di favori (calcio, auto-motociclismo, sci alpino in prima linea) che ostentano vite da nababbi e, messi di fronte ad un microfono, non sanno che ripetere frasi fatte e prive di sostanza, specchi fedeli di una società in cui, ricordate Ionesco (e non Allen, come sempre viene detto)? “Dio è morto, Marx è morto e anch’io non mi sento tanto bene”.
Ma per quello bisogna avere il coraggio di non accontentarsi o di pensarla come Montale e la sua Maestrale scritta quasi cent’anni fa: “Sotto l’azzurro fitto/ del cielo qualche uccello di mare se ne va;/ né sosta mai: perché tutte le immagini porta scritto:/ “più in là”. Molto più in là di un oro, bello ma effimero, alle Olimpiadi.
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