Se facessimo il conto di quanti atleti “di colore” hanno vinto medaglie o solamente partecipato alle Olimpiadi di Parigi ci sarebbe di che stupirsi per quanto la storia, con le sue conquiste coloniali lunghe secoli, di riflesso segni ancora i nostri giorni. Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Belgio, Portogallo e, per altri versi, Stati Uniti e persino la “bianchissima” Svizzera li hanno visti partecipare sotto la rispettiva bandiera. Ma faremmo solo un esercizio coloristico, appunto, perché nessuno (i matti per partito preso, si sa, fanno parte di un’altra categoria) in quei Paesi si sogna di sottolineare il colore della pelle, specie se abbinata alla nazionalità, sia perché l’espressione “di colore” appartiene al solo mondo dei “bianchi”, universalmente minoritario.



In Italia, invece, il voler essere più realisti del re rappresenta ancora un gioco avvincente, almeno per una certa intellighenzia. Così, le ultime giornate dei Giochi a Cinque Cerchi hanno registrato prese di posizione becere da parte dei soliti razzisti da tastiera nascosti dietro l’anonimato dei social e che, invece di finire dritti dritti nel letamaio del dimenticatoio, hanno trovato sponda in firme giornalistiche anche di primo piano, che non hanno perso l’occasione per fare mostra di paternalismo, quello politicamente corretto, con venature involontariamente razziste. Fra tutte, per il peso che occupano nel panorama televisivo e saggistico, quella di Enrico Mentana su Instagram (“Con buona pace dei residui assertori di un’Italia fatta di italiani puri, una parte rilevante dei campioni azzurri che hanno tenuto medaglie onori e giochi di Parigi ha almeno un genitore nato lontano dal nostro paese. E, alla faccia di chi tenta di negarlo, tutti loro hanno fatto per orgoglio nazionale più di tanti tromboni custodi gelosi miopi dell’italianità”) e quella di Bruno Vespa, che in un tweet rimarca quanto siano “brave, nere, italiane, esempio di integrazione vincente” le pallavoliste azzurre Egonu e Sylla, vincitrici dell’oro olimpico, da sempre italianissime in quanto nate rispettivamente in provincia di Padova e a Palermo. Se dovessimo allargare la prospettiva ad altre discipline non dovremmo più meravigliarci se a tener alti i colori italiani siano stati, tra l’altro, la saltatrice in lungo toscana Larissa Iapichino (il cognome dice tutto), il collega e medaglia di bronzo Mattia Furlani da Roma e il triplista Andy Diaz Hernandez, cubano naturalizzato italiano, altro vincitore di un bronzo.



L’ignoranza, quando fa parte del Dna, è dura da sconfiggere, ancorata com’è a stereotipi ottocenteschi. D’altra parte, se osservassimo giocare in un cortile un gruppetto di bambini ci accorgeremmo che non fanno alcuna attenzione al colore della pelle di questo o quello. Importante è divertirsi. Ma quelli sono giochi con la minuscola: per quelli con la maiuscola c’è ancora chi vuol sottolineare che esiste un colore nero che più bianco non si può.

Il bilancio sportivo (ma anche umano, lo abbiamo scritto anche su queste colonne) di Parigi 2024 è positivo, compreso quello dell’Italia, che porta a casa 40 medaglie, prima assoluta nella graduatoria dei quarti posti. Tutti gli atleti italiani sono vincenti perché con il comune denominatore dell’azzurro, l’unico colore che contava a Parigi e conterà nel 2028 a Los Angeles.



P.S. Ha superato se stesso (e forse tutti) Gad Lerner, che in un post su Instagram ha accostato le foto di Vannacci e Paola Egonu. Testo: “L’Italia di ieri, l’Italia di domani”. Si sa, la tentazione di usare lo sport per fare politica è irresistibile.

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