LE PAGELLE DELLE OLIMPIADI DI TOKYO 2020: VINCITORI E VINTI
Simone Biles li ha chiamati “twisties“, momenti in cui l’atleta perde il controllo della prestazione e di sé stesso. Altri li hanno chiamati demoni interiori, mostri con cui gli eroi delle Olimpiadi devono confrontarsi nella loro testa, prima che in pista, in campo, in pedana o in piscina. Ecco il bilancio, le pagelle delle Olimpiadi di Tokyo 2020, su chi ha affrontato i propri demoni, li ha battuti o ne è rimasto sconfitto. Fino alla prossima sfida… o direttamente alla prossima Olimpiade.
OLIMPIADI TOKYO 2020, I VINCITORI
Lamont Marcell Jacobs
I 100 metri sono “la” gara delle Olimpiadi. Mai era successo che un italiano la vincesse, né che arrivasse in finale, né che riuscisse a stabilire il record europeo sulla distanza. Il 9’80” dello sprinter di Desenzano del Garda, più che battere i suoi demoni interiori, ha scatenato quelli degli altri, in particolare degli acidissimi americani del Washington Post. Testata di proprietà di Jeff Bezos che stavolta ha visto andare in orbita solo le congetture dei suoi giornalisti. Altro che “dubbio”, Jacobs si è preso il trono di re della velocità con una prova storica che ha fatto abbracciare gli italiani così come lui ha fatto in pista con Gimbo Tamberi. Fratelli d’Italia, un’Italia che vince in un’estate davvero indimenticabile e, per Marcell, i demoni scacciati sono quelli dell’infanzia senza padre, delle gare in cui le gambe non andavano e le colpe, per sua stessa ammissione, erano sempre degli altri. Merito anche di una mental coach. Ora però Marcell ha davvero fatto pace con passato e futuro.
Gianmarco Tamberi
I demoni a volte possono bussare alla porta anche di chi, tendenzialmente, ha in testa un cielo senza nuvole. Gianmarco “Gimbo” Tamberi, “crazy jumper” per i suoi social, i suoi appuntamenti se li era appuntati su un gesso che l’aveva fatto dubitare del futuro stesso. Riuscirò a saltare ancora? Riuscirò a prendermi ciò che sognavo? Esattamente gli stessi interrogativi di Mutaz Essa Barshim, il suo amico fraterno del Qatar che aveva affrontato lo stesso dolore, gli stessi dubbi, gli stessi demoni. L’ultimo si era presentato dopo aver saltato 2,37 metri, mica bruscolini. L’hanno dovuto affrontare faccia a faccia: il demone dell’egoismo, della voglia di prevaricare a tutti i costi. E’ bastato uno sguardo e una domanda, “Can we have two golds?“. Possiamo essere entrambi campioni, possiamo vincere entrambi sui nostri incubi, sull’infortunio? Per il sì è bastato uno sguardo, poi solo lacrime di gioia: dal gesso al salto più alto del mondo, l’unico epilogo possibile per un cielo senza nuvole.
Federica Pellegrini
In questo caso i demoni sono quelli dell’età, del tempo che avanza. La quinta Olimpiade e la consapevolezza che nessuna atleta era mai riuscita ad arrivare per altrettante volte a giocarsi la finale dei 200 stile libero. E, se parliamo di demoni da vincere, Federica Pellegrini ne ha affrontati così tanti nella sua carriera da essere forse una massima esperta sul tema: dagli attacchi di panico in acqua alla morte dell’allenatore e mentore Castagnetti, fino alle polemiche che avevano reso la regina del nuoto italiano carne da macello per il gossip. Ma Federica a Tokyo ha dimostrato che si può essere grandissimi anche senza medaglia. Lavorando sui propri limiti ed accettando il tempo che passa, invece che combatterlo, venendo a patti con esso. Il quarto posto nelle staffette non ha permesso di chiudere con la favola di una nuova medaglia ma la Divina si è di nuovo presa l’obiettivo che voleva, più forte di chi l’aveva vista sul viale del tramonto già a Londra 2012. Dove sono loro adesso?
BONUS: Alex Schwazer
Lui merita di essere considerato tra i vincitori di questa Olimpiade, soprattutto se si tratta di demoni, perché gli è toccato affrontare quello più insidioso, quello del rancore che avvelena il sangue e annebbia la mente. Qualcuno gli ha sussurrato di nuovo le parole di Gianmarco Tamberi che disse: “Vogliamo essere una squadra pulita”, nel pieno delle disavventure per doping dell’altoatesino, “incastrato” da chi davvero non lo ha voluto a Tokyo 2020. La sua risposta: “Sono solo felice per i successi di Tamberi, e anche di Jacobs. Quando uno va forte escono sempre queste storie messe in giro da parte di alcuni invidiosi. Sembra che quasi ci si debba scusare di essere andato così veloce. Queste accuse velate che ho letto sono molto tristi ma per fortuna lasciano il tempo che trovano”. Restituire lo schiaffo, cadere nel veleno sarebbe stato sin troppo facile. Alex Schwazer meritava di essere lì ma la sua battaglia l’ha vinta, perché nessuno è riuscito a farlo diventare il cattivo che troppo spesso serve al lato malato dello sport.
OLIMPIADI TOKYO 2020, I VINTI
Benedetta Pilato
Perdere contro i propri demoni quando si è giovane è più facile: perché loro conoscono già i tuoi punti deboli, mentre tu a volte non sai neanche che esistono. D’altronde, quando a 16 anni hai già stabilito il record del mondo sui 50 rana, cosa pensi che potrebbe andare storto? Semplicemente tutto può andare male, se non c’è la testa e la consapevolezza. E’ bastata la classica “delfinata”, un errore nello stile che può essere considerato anche da principianti, se vogliamo, ma a una ragazza di 16 anni si può rimproverare di esserlo, una principiante? Il problema è che le Olimpiadi arrivano ogni 4 anni e ogni occasione persa diventa una cicatrice che resta fino alla chance del riscatto: “Gara orribile. Mi sono stancata tantissimo. Mi sentivo bene nel riscaldamento. Non ho idea di cosa sia successo, è andata così. Troppa pressione? Può darsi. Ora vediamo a mente fredda.” A mente fredda Benedetta ha scoperto i suoi demoni per la prima volta: un incontro traumatico, la sfida più grande di ogni sportivo. In bocca al lupo.
Simone Biles
In questa Olimpiade è stata l’esempio tangibile di come nessun atleta possa essere considerato invincibile. A 24 anni presentarsi con 4 ori Olimpici e addirittura 19 ori Mondiali già alle spalle e l’etichetta di più grande ginnasta di tutti i tempi, senza se e senza ma. E nonostante questo ha avuto il coraggio di mostrarsi fragile davanti al mondo intero, nel mezzo di un esercizio della prova a squadre: ovvero proprio nel momento più difficile, in cui le sorti in gioco non erano solo le sue ma anche quelle delle sue compagne. Lei li ha chiamati “twisties“, intraducibile definizione di momenti che sembra le ginnaste professioniste, invece, sappiano riconoscere all’istante: manca l’aria e soprattutto manca l’equilibrio, dal tetto del mondo bisogna gettare la spugna di fronte a quei demoni che sono sempre lì, dagli abusi subiti dagli allenatori a un’infanzia difficile. Torna tutto in un’istante, il bronzo alla trave non basta forse per ripartire, quello splendido sorriso alla fine dell’esercizio sì: la prossima volta, c’è da scommetterci, Simone vincerà ancora.
Naomi Osaka
Quando tutti ti dicono che sei più forte dei tuoi demoni, la lezione da imparare è una sola: non serve a nulla se tu non sei convinta, se non sei venuta a patti con le tue ansie. Naomi Osaka aveva già fatto discutere, lasciando il campo da tennis con una motivazione inusuale, inaccettabile soprattutto per l’inarrendevole Giappone che rappresenta. “Sono depressa, combatto da anni ma a volte devo fermarmi“. E anche quando tutti ti spingono per riportarti in alto, più su, fino all’accensione del braciere Olimpico che vuoi o non vuoi un posto nella storia te lo consegna, questo non basta. E’ stata invece sufficiente la modesta russa Vondrousova per ricordare la morale, amara e implacabile: in campo si è soli, a tu per tu con l’avversario o con una prestazione da battere, migliorare, superare. Naomi Osaka non è una che molla ma quelle lacrime a bagnare la sconfitta le hanno ricordato una lezione che in cuor suo aveva già imparato: la corsa, alla fine, è solo con te stessa.
Novak Djokovic
Già associare il suo nome a una sconfitta è materia inusuale. Il demone più insidioso però, soprattutto per gli sportivi, a volte è quello della presunzione. “Nole” si presentava da numero uno mondiale, cosa che gli è capitata spesso nel corso della carriera, e fresco del trionfo a Wimbledon contro il nostro Berrettini. Ma le Olimpiadi sono una brutta bestia per i tennisti: sembrano un torneo con meno pressioni ma per vincere serve la testa di sempre. Altrimenti non rischi di perdere solo l’oro, come la sconfitta contro il pur forte tedesco Zverev ha sancito ma anche quel bronzo che per uno come il serbo dovrebbe essere il minimo sindacale. Invece la medaglia se l’è presa lo spagnolo Carreno-Busta e Djokovic ha lasciato a secco una Serbia che per il suo medagliere puntava tutto su di lui, sui ragazzi della pallanuoto e sulle pallavoliste. Ma quando si cede all’indulgenza verso sé stessi anche i più grandi cadono dal trono, molto spesso con la faccia in avanti.