Il 3 maggio 2011 il processo a carico di Olindo Romano e Rosa Bazzi per la strage di Erba, consumata nella corte di via Diaz della città della provincia di Como la sera dell’11 dicembre 2006, si chiuse con l’ergastolo. Una sentenza definitiva in Cassazione che confermò l’esito dei primi due gradi di giudizio e contro la quale, nel 2023, la difesa dei coniugi ha presentato istanza di revisione sostenendo di poter dimostrare, nuove prove alla mano, la non colpevolezza di entrambi. L’ombra di un clamoroso errore giudiziario, per gli avvocati e i consulenti della coppia, si sarebbe fatta materia palpabile a suon di testimonianze e consulenze che, in sede di indagini difensive e nonostante il peso di un giudicato blindato in via ordinaria, avrebbero tutti i crismi per portare addirittura all’assoluzione attraverso l’impugnazione straordinaria nell’ottica del giudizio di revisione. Sarà la Corte d’Appello di Brescia a decidere la sorte di Olindo Romano e Rosa Bazzi all’esito della valutazione di quanto prodotto dalla difesa, dal loro tutore e, in prima battuta, dal sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser nelle rispettive istanze per riaprire il caso e portarlo, 17 anni dopo i fatti, nuovamente al vaglio della giustizia italiana.
Tarfusser ha proposto richiesta di revisione per primo, anticipando il collegio difensivo, nel marzo 2023, perché convinto che le prove a sostegno dell’accusa che poi portarono alla condanna – in particolare l‘asserito riconoscimento di Olindo Romano da parte di Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage, la macchia di sangue della vittima Valeria Cherubini sul battitacco dell’auto della coppia e le confessioni – “non provano nulla”: il sostituto pg è convinto che indagini e processo non abbiamo liberato il campo da quel “ragionevole dubbio” che non dovrebbe sussistere quando si giudica un imputato consegnandolo all’ergastolo. L’avvocato Fabio Schembri, uno dei legali che assistono la coppia, ha sottolineato che la pista alternativa della presunta faida per questioni legate alla contesa piazza di spaccio tra una banda di tunisini (con all’interno parenti di Azouz Marzouk, marito e padre di due delle vittime della strage) e un gruppo di marocchini non sarebbe stata sondata in modo approfondito all’epoca delle indagini e invece potrebbe contenere la chiave di lettura dell’intero massacro. Il movente, secondo la tesi che sarebbe supportata dalla testimonianza di un tunisino residente nell’appartamento della strage, non sarebbe da rintracciare nelle liti di vicinato – come invece cristallizzato dalla verità processuale a carico dei Romano-Bazzi -, ma proprio nella “guerra” intestina tra gang rivali per il controllo del traffico di stupefacenti tra Erba e Merone. Una faida che, prima del massacro, sarebbe sfociata in un accoltellamento ai danni del gruppo riconducibile alla sfera di contatti di Marzouk.
Strage di Erba, le tre prove che potrebbero cambiare tutto secondo la difesa
Secondo la difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, “non sono gli assassini” e lo si evincerebbe analizzando in maniera approfondita le “tre prove regine” che l’accusa portò avanti, fino a sentenza definitiva, bypassando quelle che, per i difensori della coppia e pure per il sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser, sarebbero “criticità” oggettive e insuperabili che non possono portare a una condanna oltre ogni ragionevole dubbio come diritto, invece, vorrebbe. La difesa contesta l’asserito riconoscimento di Olindo Romano da parte dell’unico testimone oculare sopravvissuto alla strage, Mario Frigerio. Inizialmente quest’ultimo disse di non conoscere il suo aggressore, fornendone una descrizione totalmente diversa dal vicino di casa Olindo, a lui ben noto, e indicandolo come una persona mai vista prima, dalla pelle olivastra, più alta e “forte come un toro“. Soltanto a seguito di un colloquio con il luogotenente Gallorini, allora comandante a Erba, Frigerio avrebbe imboccato la strada per “cambiare” il suo ricordo in maniera involontaria ma indotta dalle domande suggestive del carabiniere (per 9 volte, rileva la difesa, Gallorini pronunciò il nome di Olindo Romano al superstite chiedendogli se non potesse essere lui l’assalitore).
Il collegio che assiste i coniugi, che ha ottenuto l’apertura alla revisione del processo nel 2024, contesta anche la repertazione della macchia di sangue di Valeria Cherubini sul battitacco dell’auto di Olindo Romano, unica prova scientifica a carico della coppia, arrivando persino a metterne in dubbio l’esistenza perché non solo fu individuata da un militare di Como, l’allora brigadiere Fadda, senza seguire i protocolli di intervento con luminol (che richiedono, per assumere il carattere di “prova“, di documentare le tracce con foto al buio così da esaltarne luminescenza e definirne effettiva presenza e localizzazione), ma sarebbe stata definita dallo stesso Fadda come “lavata” e non “pura” come invece descritto dal consulente dell’accusa, Previderè, che la analizzò. Per la difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, non può esservi discrasia tra quanto evidenziato da Fadda e quanto analizzato da Previderè se si trattasse della stessa traccia ematica. Inoltre, non proverebbe la colpevolezza dei coniugi perché non è stato trovato sangue altrove, né nell’auto né nelle altre pertinenze della coppia, a significare che la macchia potrebbe essere dovuta a contaminazione in sede di rilievi (i carabinieri che hanno firmato il verbale di perquisizione del veicolo erano gli stessi saliti, poco prima, nell’appartamento della strage).
La difesa sostiene inoltre che le confessioni dei coniugi siano state rese in un clima di pressione tale da spingerli ad addossarsi responsabilità inesistenti. Avrebbero ammesso il massacro della strage di erba, in sostanza, perché spinti dalla paura dell’ergastolo, profilato dagli inquirenti in sede di interrogatorio fin dalle prime battute a margine dell’arresto, e soprattutto dal terrore di essere separati l’uno dall’altra. Dietro la promessa di benefici e credendo persino di poter ottenere una “cella matrimoniale”, i due avrebbero falsamente confessato. Prove e confessioni che, secondo Tarfusser, sarebbero maturati in un contesto che “definire malato è fare esercizio di eufemismo”. “Abbiamo perizie psichiatriche che hanno riconosciuto un ritardo mentale in Rosa Bazzi e disturbi di personalità in Olindo Romano”, ha dichiarato l’avvocato Fabio Schembri a ridosso della revisione del processo, nel 2023. I coniugi sarebbero in una condizione tale da essere “soggetti facilmente circonvenibili” e da rendere “false confessioni acquiescenti” davanti alla prospettazione di inverosimili orizzonti di vita. La difesa rileva almeno 243 errori commessi da Olindo Romano nella sua confessione, incalcolabili quelli di Rosa Bazzi nella descrizione del massacro. Poi sulla strage di Erba c’è il nodo intercettazioni: decine quelle scomparse misteriosamente in fasi cruciali delle indagini (da quelle nella casa dei Romano “mai considerate”, secondo la difesa, che attesterebbero invece come marito e moglie, per giorni dopo la strage di Erba e comunemente al resto dei condomini, “parlavano fra di loro da innocenti” auspicando una pronta guarigione di Mario Frigerio così che potesse magari fornire elementi utili a trovare l’assassino, a quelle in ospedale del teste Frigerio durante il cambio di ricordo dell’aggressore, da un uomo “olivastro” e mai visto al riconoscimento del ben noto vicino di casa Olindo).