Se si seguono le regole della coltivazione green, l’olio di palma può rivelarsi un prodotto amico dell’ambiente. A dirlo sono i riscontri rilevati, letteralmente sul campo, dal Roundtable on Sustainable Palm Oil, l’organizzazione che riunisce produttori, distributori, rivenditori, investitori e organizzazioni non governative, definendo principi e criteri specifici per una produzione sostenibile e un utilizzo tracciabile dell’olio di palma certificato a livello globale.
“Una piantagione certificata RSPO – commenta Francesca Morgante, Market Development Manager per l’Europa di RSPO – rispetta una serie di requisiti ambientali e sociali che si traducono in un impatto del 35% inferiore sul riscaldamento globale e del 20% inferiore sulla perdita di biodiversità rispetto ai valori fatti registrare dalle produzioni convenzionali. Inoltre, produce una quantità di olio da 4 a 10 volte maggiore rispetto alle piantagioni di altri oli vegetali, la cui produzione intensiva avrebbe quindi un impatto ambientale negativo in termini di sfruttamento del suolo e di deforestazione”.
E da qui l’interesse delle industrie italiane, che hanno infatti risposto numerose alla proposta di associazione lanciata da RSPO. I dati parlano chiaro: secondo l’aggiornamento annuale reso noto dall’organizzazione, con 236 soci l’Italia è il 5° Paese al mondo e il 3° in Europa per numero di aziende che hanno aderito alla proposta di RSPO. E non solo. Nel nostro Paese, infatti, sono già 87 le aziende che hanno fatto richiesta dell’utilizzo del marchio RSPO per le loro comunicazioni corporate o di prodotto, sul mercato italiano ed estero, così da sostenere un consumo responsabile.
Il settore principalmente rappresentato tra gli associati – rileva sempre RSPO – è l’industria alimentare, cui si aggiunge però un numero crescente di imprese della cosmesi, della detergenza e che utilizzano derivati dell’olio di palma o palmisto per usi tecnici: sono 15 su 25 pari al 60% infatti i nuovi soci RSPO nel 2021 attivi questi settori. Restano invece ancora insufficienti gli impegni di altri settori importanti come quello dei mangimi e del consumo fuori casa, che al contrario sono ben avviati in Paesi come la Gran Bretagna e i Paesi Bassi.
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